Dall’ictus al Premio Campiello: parla Stefano Adami

Dall’ictus al Premio Campiello: parla Stefano Adami


Viva voce

di Stefano Adami

(2025, Effigi)


Chi è Stefano Adami

Filosofo, traduttore, saggista e scrittore Stefano Adami è uscito recentemente in libreria con Viva voce, candidato al prestigioso Premio Campiello.

Di cosa parla il libro

Racconta il dramma dell’ictus con le parole, le sensazioni e gli stati d’animo di chi ce l’ha fatta. Stefano ci ha regalato il suo racconto personale di sopravvivenza, di resilienza, di determinazione e di disperazione, ma anche di incredibile ripresa, di cambiamento e di accettazione di una situazione tra le più schiaccianti che la vita può metterci davanti.

 

Una storia di speranza e di coraggio che dimostra quanto noi uomini possiamo essere forti di fronte alle avversità e quanto indomabile possa diventare il nostro animo. Una storia che invito tutti a leggere, una guida per chi si trova nella sua stessa situazione e uno spunto di riflessione per chi, fortunatamente, non deve combattere questa terribile malattia.

Cosa ne penso

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt (Il fato guida chi vuole lasciarsi guidare e trascina chi non vuole) diceva Seneca. Una frase che ho sempre tenuto a mente e che considero un grande insegnamento. C’è qualcosa che ha a che fare con la resilienza, ma anche con il destino. Sì, perché è giusto lottare, avere il coraggio delle proprie scelte, inseguire i propri desideri, ma anche stare attenti a non andare contro la realtà. Anzi, Seneca ci consiglia di seguire il corso degli eventi, come fosse la corrente di un lungo fiume. Con scelte logiche, razionali, spesso sofferte. Adattandoci alle situazioni, perché la vita e l’universo di cui siamo impregnati sono cambiamento. Noi siamo cambiamento. Andare controcorrente, rifiutare lo stato oggettivo delle cose, ci porterebbe solo alla rottura, alla sconfitta.

È a questo che ho pensato leggendo Viva voce. Non è facile fare una vera e propria recensione di questo libro, stendere un riassunto accompagnato da commenti personali. Il tema trattato, la forma del memoir più che dell’autobiografia, legata alle fortissime emozioni vissute non permette quasi intromissioni nel sentire del protagonista.

Per questo la cosa migliore è ascoltare dalla Viva voce di Stefano Adami la sua storia, ciò che gli è accaduto, ciò che è contenuto in queste preziose pagine.

 

Ci sono in te ricordi del momento in cui hai avuto l’ictus? C’è stato il tempo di capire quello che ti stava accadendo, prima di cadere in coma?

Si, mi ricordo benissimo di tutto quello che mi è successo, mi ricordo bene della clavicola sinistra che inizia a sbattere come un foglio di carta, e mi ricordo tutti i dolori. Racconto tutto questo proprio all’inizio del mio libro. Avevo la sensazione che mi stesse accadendo qualcosa di grave, ma non avevo certo pensato ad un ictus.

La malattia e tutte le difficoltà di tornare a una vita normale. Come sei riuscito ad affrontarle? Come ci si rialza da un trauma così invasivo?

Sono riuscito ad affrontare la situazione in primis grazie al cervello, ai ricordi, alle memorie delle letture e dei bei momenti del passato. Quando ero in rianimazione erano tutte queste cose che affollavano la mia mente. Un aiuto importante è venuto anche dalle persone che mi sono state vicine in quei giorni. La mia compagna di allora, i miei parenti, i miei amici. E poi, naturalmente mi ha aiutato moltissimo anche la scrittura, un’ancora che mi ha tenuto saldamente agganciato agli scogli.

Hai mai pensato di non uscirne, di non farcela?

Si, come no. Ho pensato spesso alla possibilità di non farcela, di restare bloccato tutta la vita in un letto o in una carrozzina. Per questo sono arrivato a pensare anche all’ eutanasia. Ci sono andato davvero molto vicino.

So che i percorsi di riabilitazione sono durissimi. Quanto è durato il tuo?

Il mio percorso di riabilitazione è cominciato praticamente poco dopo l’ictus. Dura ancora e durerà ancora a lungo. Naturalmente in questo sono importantissimi, cruciali, tutti i legami affettivi.

Dal mensile Maremma Magazine di Giugno

So che frequentare ancora il centro studi di Villa Miari per la riabilitazione neurocognitiva a Vicenza è per te molto importante. Che tipo di cure affronti lì?

A Villa Miari faccio quella che ho definito riabilitazione filosofica. È praticamente la fisioterapia secondo la prassi di Carlo Perfetti, che si basa soprattutto sul cervello, sulla mente e sul rapporto mente corpo.

Il Metodo Carlo Perfetti ti ha dato la possibilità di lasciare finalmente la carrozzina. Ce ne vuoi parlare?

Certo. Sapete, restare in carrozzina significava essere totalmente alle dipendenze degli altri. Un’idea che non riuscivo proprio ad accettare. Fu il primo assistente di Perfetti, a Pisa, il Dr. Valter Noccioli, a visitarmi e a dirmi che quella diagnosi, secondo la quale sarei rimasto in carrozzina, non era corretta. Fu lui il primo a dirmi che potevo di nuovo sognare di camminare nel mondo.

La tua formazione filosofica ti ha aiutato? Sei credente?

La mia formazione filosofica mi ha aiutato tantissimo perché mi è servita innanzitutto per capire che dovevo scendere a patti con quello che mi era successo e cambiare il mio atteggiamento. Il mio rapporto con il credere poi è cambiato tantissimo. Diciamo che quella notte in cui ho avuto l’emorragia cerebrale ho visto ed ho sentito. Proprio nel senso in cui dicono i vangeli: venite, e vedrete. Ecco, passare tutta quella notte con mio padre, per me è stato cruciale.

In una recente intervista tu ammetti: «Per accettare quello che mi era successo mi ci è voluto molto tempo, io negavo». Quanto è difficile accettare la condizione di invalido e riuscire a controllare gli sbalzi di stati d’animo o la depressione?

Si, accettare la condizione di invalido è stato certo il primo passo necessario per andare avanti. Ma poco dopo si vede che invalidi lo siamo tutti: chi fuori nel corpo come me e chi dentro nell’anima.
Immagino che l’ictus sia una sorta di spartiacque nella vita di chi lo subisce e che porti a rivedere tutte le proprie certezze e priorità…
Certo, l’ictus è un profondo e potente spartiacque. Quando ti capita una cosa del genere e sopravvivi, capisci che non c’è più tempo da perdere nelle sciocchezze umane, nella rabbia, nelle ire, nelle superficialità. Il tempo che rimane deve trascorrere nell’amore. E nel cercare di dare sempre a tutti il meglio di noi stessi.

«Il pomeriggio del 23 marzo del 2019, poco dopo le 3, sono morto. Questo è quello che è successo dopo» dici nell’incipit del libro ‘Viva voce’ uscito recentemente per Effigi edizioni. Quando hai cominciato a scrivere la tua storia?

Ho cominciato a scrivere la mia storia praticamente appena mi sono risvegliato. All’inizio è stato duro, difficilissimo, non riuscivo quasi più a produrre parole. Facevo molti errori che, fra l’altro, non ho voluto correggere e quindi si ritrovano nel libro. Poi, piano piano, la scrittura è migliorata, grazie a Dio.

Cosa ti ha spinto a renderla pubblica?

Ho sempre pensato di renderla pubblica, sia per dare una testimonianza, che per aiutare con la mia esperienza tutti coloro che si trovano in una situazione simile alla mia. Il messaggio è che, in qualsiasi condizione ci si trovi, l’unica cosa che possiamo fare è stringere i denti, sorridere, e andare avanti.

Tu sei un professore ed hai insegnato a lungo all’estero. Hai quindi dimestichezza con la scrittura, hai anche pubblicato diversi volumi sia di saggistica che di narrativa. Ma approdare al Premio Campiello immagino sia un’altra cosa. Come è arrivata questa candidatura e chi ti ha sostenuto?

Quando ho ricevuto la telefonata da Venezia in cui si ufficializzava la mia candidatura, sinceramente ho pensato ad uno scherzo. Credo siano state le molte recensioni positive avute dal libro, a portarlo alla candidatura.

Hai in progetto nuovi libri? E, se sì, quali?

Si, in realtà ‘Viva voce’ è solo il romanzo centrale di una trilogia. Ci sarà un romanzo che racconta la mia vita prima dell’ictus, la convivenza con la compagna di allora, una nota violinista russa, e poi un altro che racconta ciò che è accaduto dopo l’ictus, le varie riabilitazioni, insomma come è cambiata la mia vita.

Vuoi lasciare ai lettori una breve riflessione su tutto questo?

Beh, le riflessioni sarebbero tante… ma forse ce n’è una centrale. La vita non è altro che il misurarsi con l’inatteso, l’inaspettato. Facciamo tanti piani, programmi, ma poi l’esistenza prende una piega diversa, indipendente. Ecco, allora di fronte a questo, credo valga in assoluto il consiglio che dava anche Hemingway. Dobbiamo vivere sempre con grazia, cercando di superare il nocciolo oscuro che sta dentro di noi, quello umano, troppo umano.


Recensione e intervista a cura di Dianora Tinti, scrittrice e giornalista.


 

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