A casa prima del buio: una graphic novel per non dimenticare

A casa prima del buio: una graphic novel per non dimenticare

Ottant’anni fa furono emanate Le leggi razziali: era il 14 luglio quando fu pubblicato il tristemente famoso “Manifesto del razzismo italiano” , poi trasformato in decreto il 15 novembre dello stesso anno, con tanto di firma di Vittorio Emanuele III di Savoia.

 

Settantatre anni fa, invece, i soldati della 60ª Armata del “1º Fronte ucraino” del maresciallo Ivan Konev varcarono il cancello del campo di concentramento di Auschwitz e per la prima volta il mondo “scopri” l’orrore del genocidio nazifascista.

 

Perchè la fiamma della memoria non si spenga, abbiamo realizzato tre interviste dedicandole alle generazioni che hanno avuto la fortuna di non aver vissuto quel periodo, ma di averlo appreso solo attraverso libri o film, come il commovente Diario di Anna Frank o Schindler’s List, il film diretto da Steven Spielberg, ispirato alla vera storia di Oskar Schindler famoso per aver salvato circa 1.100 ebrei dallo sterminio con il pretesto di impiegarli come personale necessario allo sforzo bellico presso la sua fabbrica di oggetti smaltati a Cracovia.

 

Sia questa, sia le successive due, che pubblicheremo nei prossimi giorni, sono state realizzate per noi da Fausto Bailo che ringraziamo, insieme alla Premiata Libreria Marconi di Bra che collabora sempre fattivamente.
A ottobre scorso è uscito il primo volume di un’interessante trilogia dedicata al direttore d’orchestra Kristof Von Hofmann: A casa prima del buio (Editoriale Aurea). Questo piccolo grande lavoro possiede una tale spinta propulsiva che non sfigura nemmeno di fronte a La storia dei tre Adolf del maestro Osamu Tezuka.

Emiliano Albano

Emiliano Albano

Emiliano Albano, illustratore

Quali fumetti leggeva in tenera età?

“Il mio primo approccio con il fumetto è avvenuto attraverso il cinema,nello specifico con il Batman del 1989 di Tim Burton. I fumetti sono arrivati come diretta conseguenza e ho sempre variato nei generi anche se il fumetto super eroistico l’ho coltivato fino a qualche anno  fa, ma tra i primi di sicuro ci sono stati Batman, Spiderman, X Men. Oltre a questi mi sono appassionato anche ad altri titoli,ad esempio Asterix, Lupo Alberto, Kriminal e l’immancabile Topolino.

 

Ricordo due momenti precisi dell’infanzia in cui ho preso coscienza e consapevolezza di una futura carriera di fumettista,il primo verso i 9/10 anni quando mi ritrovai tra le mani un albo di Wolverine (il n°127) che mi fece scattare qualcosa,come se avesse acceso la prima scintilla. Un paio di anni più tardi, quando l’acquisto dei fumetti divenne quasi abituale,ebbi modo di scoprire la serie Ultimates di Mark Millar e Bryan Hitch, e rimasi letteralmente folgorato dai disegni e dalla storia,sopratutto mi colpì l’incredibile equilibrio che c’era tra realtà e finzione, illusione che era resa alla perfezione dai disegni iperrealistici di Hitch. Quello fu il momento in cui decisi di diventare un disegnatore di fumetti,ed ora eccomi qui”.

Quali sono le sue tecniche illustrative che predilige?

“Ora lavoro interamente in digitale,cosa che fino a un paio di anni fa per me era impensabile visto il mio attaccamento alla carta e all’inchiostro,ma per esigenze lavorative alla fine ho dovuto cedere. La gestione del lavoro con il digitale è decisamente migliore, mi permette di dare alle tavole gli effetti che ho sempre desiderato con il giusto livello di dettaglio. Ma ammetto a malincuore che il lavoro interamente su carta mi manca, infatti appena ho un minuto libero prendo carta e pennello e butto giù qualche sketch senza nemmeno passare per la matita, semplicemente parto da un vero e proprio scarabocchio e improvviso. In realtà questo svago lo uso non solo come rimedio allo stress ma anche come esercizio per sperimentare nuove tecniche di disegno, di inchiostrazione e talvolta di colore ponendomi come punto di arrivo la libertà espressiva di Alberto Breccia (che considero in assoluto il più grande fumettista che sia mai esistito)”.

Quando è entrato a far parte del progetto editoriale che ha permesso la nascita della graphic novel A casaA casa prima del buio tavola prima del buio?

“Poco più di 4 anni fa, Se credessi nel destino direi che è stato quasi un gioco di quest’ultimo a far sì che io e Francesco Moriconi ci incontrassimo dal punto di vista professionalmente (in realtà lo conoscevo già dal terzo anno del corso di fumetto alla Scuola Internazionale di Comics di Roma)

 

Durante il Master di fumetto, con Sara Pichelli ed Enrique Breccia come docenti, parlammo un pò e alla fine mi propose di disegnare una storia che progettava da 14 anni e che non era mai riuscito a realizzare fino in fondo. Quella storia era proprio “A casa prima del buio”.

 

Preso dall’entusiasmo accettai di getto e con entusiasmo nonostante non ci fosse uno straccio di soggetto, infatti la vera e propria trama della storia la lessi solo un anno dopo l’inizio dei lavori, perché Francesco doveva riorganizzare le idee e dare una struttura al tutto.

 

Inizialmente mi dette da fare due tavole di prova ma subito dopo iniziammo a lavorare in maniera continua, anche se non avevamo un editore che ci sostenesse. E’ andata così per due anni. Poi per fortuna, durante la prima edizione dell’ ARF! nel 2015, cogliemmo l’opportunità di proporci per l’Editoriale Aurea e il direttore Enzo Marino sin dall’inizio si dimostrò entusiasta del progetto dandoci carta bianca per continuare nella totale libertà espressiva, cosa di cui non saremo mai abbastanza riconoscenti.

Subito dopo abbiamo iniziato a lavorare a pieno ritmo per altri due anni, spesso rielaborando intere sequenze, ridisegnandone le tavole e  facendo maturare la storia sempre di più, anche se ogni tanto i rapporti tra me e Francesco sono stati un po’ burrascosi.

Si può dire che il lavoro per “A casa prima del buio-Primo movimento” è ufficialmente finito un mese e mezzo prima dell’uscita del volume unico, nemmeno la pubblicazione a puntate su Lanciostory ci ha fermato. Spesso mi trovo a commentare questi 4 anni di lavoro dicendo ironicamente che si potrebbe tranquillamente fare un fumetto o un libro solo sulla lavorazione di A casa prima del buio sulla scia di Meta-Maus di Art Spiegelman”.

Quanto è stato complesso realizzare una storia ambientata nel 1942?

“Da un punto di vista spirituale vorrei citare una frase detta da Orson Welles nel film “Il terzo uomo” di Carol Reed: ” In Italia per trent’anni sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi e carneficine ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo Da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù”. Questa frase racchiude un pensiero e una filosofia che è stata la mia oasi di salvezza dalla pesantezza del periodo storico.

 

Il lato più tecnico invece è stato terribile. Trovare i riferimenti fotografici per rappresentare al meglio quello che dovevo è stata un’esperienza estenuante e lo è tutt’ora che sono al lavoro sul secondo libro. Probabilmente la più grande difficoltà che ho avuto è stata quella di rappresentare Strengberg, il paesino di Von Hoffman, poiché internet non forniva alcun tipo di riferimento fotografico.

 

Abbiamo anche contattato alcuni abitanti del luogo per farci dare una mano ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Poco dopo la fine della lavorazione del primo libro ho scoperto, con mio sommo orrore, l’esistenza di un sito internet con tutto il materiale fotografico che mi serviva e che era stato aperto da lì a poco, potete immaginare la rabbia! Altra difficoltà è il maggior difetto mio e di Francesco ossia il nostro essere maniacali con i dettagli, chi in un modo chi in un altro. Ogni vignetta ha dei suoi perché e nulla è mai lasciato al caso, anzi spesso vado addirittura a studiare undettaglio insignificante come può essere ad esempio un vaso o un giradischi, devo conoscere alla perfezione tutto quello che vado a rappresentare per creare al meglio l’illusione che ciò che il pubblico legge è vero, e questo è un processo che purtroppo prende parecchio tempo”.

 

Quanto è stato difficile dare anima e corpo al direttore d’orchestra Kristof Von Hofmann?

“Inizialmente Kristoff Von Hoffman doveva avere le fattezze di Bruno Ganz, poi siamo passati a Jeremy Irons e poi ad Herbert Von Karajan. Francesco voleva un protagonista dall’aria severa e dagli occhi di ferro e non c’era bisogno di ricercare ulteriormente, Karajan era perfetto. Farlo recitare è stata tutta un’altra storia, ogni movimento è studiato per dare idea di una persona ferrea esteriormente ma fragile all’interno. Uno degli aspetti che più ci tenevo ad esaltare in Kristoff è la sua malinconia in particolar modo volevo dare l’idea di una persona che aveva avuto un vissuto relativamente felice ma che era stato spezzato per sempre rendendolo più fragile e a tratti ingenuo.

Nella storia se ne fa un breve cenno, ma Von Hoffman è vedovo ed è un uomo tra i 40/50 anni e la perdita di una persona amata apre delle ferite che per quanto uno ci provi non si rimargineranno mai. E’ un dettaglio di poco conto nello sviluppo della storia, ma questa piccola rivelazione su Kristof secondo me aiuta a empatizzare con il personaggio e a cogliere quella piccola crepa nell’armatura che indossa. Questo per me giustifica molti suoi atteggiamenti anche nei confronti di Ester, che è la prima presenza femminile in casa che si ritrova dopo molto tempo, quindi volevo che con lei qualcosa si riaccendesse ma che allo stesso tempo lo turbasse nel profondo. Ma il discorso non è solo di Kristof come persona, anche la sua casa parla e ci dice molto di lui, la disposizione dei mobili, i quadri,la cucina e lo studio, racchiudono tanti dettagli che ci dicono chi è e come vive”.

Secondo lei quale può essere l’alter ego di Kristof Von Hofmann nel mondo della celluloide?

“Credo che la figura che più si avvicini a Kristof sia il Mozart di Tom Hulce nel film “Amadeus”, levando la componente arrogante e infantile del personaggio. Credo che ciò che li renda simili sia il loro essere di buon cuore ma vittime di macchinazioni e giochi che vanno al di là delle loro volontà. Mozart aveva Salieri che muoveva i fili del suo destino, Kritoff ha…no, non posso anticiparvi nulla. Sono entrambi personaggi legati alla musica in maniera venale e quasi ossessiva, la percepiscono tanto come un lavoro quanto un’evasione dalla realtà. Entrambi vogliono vivere solo di ciò che sanno fare di meglio, tutto qui”.

Risposta alla domanda numero 7 Emiliano AlbanoQuale illustrazione rappresenta meglio la sintesi di questo primo volume…

“Penso che la sequenza dell’incubo ( nella tavola sx) possa sintetizzare al meglio tutta la storia, bisogna solo cercare di scomporla e decifrare gli indizi che io e Francesco abbiamo disseminato.

 
Se devo essere più specifico direi la vignetta inquadrata dall’alto in cui si vede la botola dove Ester e la famiglia sono caduti e sui bordi ci sono Kristof e una serie di figure misteriose. Penso che lì si racchiude al meglio il concetto di un destino a cui non si può sfuggire e di figure che ne manovrano i fili. Anche se personalmente non credo nel destino, è un concetto che Francesco vuole esprimere e io come disegnatore devo fare del mio meglio per metterlo su carta”.

Consiglierebbe nelle scuola la lettura di questo libro durante la giornata della memoria?

“Dipende dalla sensibilità del pubblico. E’ molto difficile dare spazio ad una storia del genere se non ci allontaniamo dalle etichette di “ebreo-buono/tedesco-cattivo”. Del resto “A casa prima del buio” ha come protagonista un nazista. La storia di quel periodo, per come viene studiata adesso nelle scuole, ci fornisce un quadro generale degli eventi più schematico e selettivo. E’ difficile, ora, prendere consapevolezza che in quel periodo il concetto di bene e male era ancora più relativo e che ciò che era bene per uno poteva essere morte certa per un altro. La guerra ci mette davanti a scelte che nessuno vorrebbe prendere per sopravvivere a qualcosa che è più grande del singolo individuo.

Dicendo questo non voglio in alcun modo giustificare gli eventi e gli orrori di quel periodo, sono frutto di menti squilibrate che hanno saputo ben manipolare a loro favore la disperazione delle persone. Ma alla fine si riconduce tutto alla famosa frase di Orson Welles che ho citato prima, ossia che alla fine c’è un equilibrio stabile tra orrori distruttivi delle guerre e una pace ricostituente e innovativa, ed è la consapevolezza di questa armonia che andrebbe insegnato nelle scuole a mio parere, non il semplice e schematico susseguirsi di eventi. Quindi a finale secondo me “A casa prima del buio” può essere qualcosa da far leggere nelle scuole se può servire a fornire un ulteriore tassello per comprendere meglio cosa significava vivere in quel periodo e il relativo senso di claustrofobia che opprimeva tanto gli ebrei quanto i tedeschi e che offuscava ogni comportamento umano”.

Quale personaggio tratto dalle opere di William Shakespeare si avvicina di più al direttore d’orchestra Kristof Von Hofmann.

“Per certi versi mi piace pensare che in Kristof possa esserci un po’ dell’ Antonio del “Mercante di Venezia”. Sono entrambi personaggi che vivono di un’oppressione incalzante e che si trovano a dover scendere a compromessi poco piacevoli. Kristof viene quasi costretto dalla pressione del clima di terrore a dover accettare l’incarico allo Staatsoper di Vienna e volente o nolente è una scelta che lo stringe sempre di più in una morsa pericolosa. C’è pressione intorno a lui, ci sono aspettative, c’è lo spettro di uno Shylock a forma di svastica che vuole molto più di una libbra di carne, vuole l’assoluta passività e l’assoluta obbedienza per continuare ad alimentarsi. E poi c’è Ester, l’imprevisto nel momento peggiore, come le tre navi disperse di Antonio. Nel momento in cui la giovane ebrea entra nella sua vita la paura si impossessa di Kristof, lo rende più vulnerabile e più fragile, ogni minimo errore può essere fatale. Sia il personaggio di Antonio che quello di Kristof sono comuni nella pressione che sono costretti a subire, ma comunque ci sono aspetti del secondo che non posso anticipare, ma vi assicuro che ci saranno belle sorprese”.

Francesco Moriconi, sceneggiatore

Francesco Moriconi

Francesco Moriconi

Quali sono stati i suoi primi passi come sceneggiatore?

“Sono entrato in questo mondo nel 1991, partecipando ad un corso di Giorgio Pedrazzi presso la Scuola Internazionale di Comics. Al termine ho esordito con una storia per “Tiramolla” e subito dopo ho prodotto liberi per la rivista gialla “Crimen”. Dal ’92 al ’95 ho scritto molte cose per bambini (“Cartoonlandia”, “Corriere dei Piccoli”, “Bla… Bla… Bla..”) e qualche storia horror (“Demon Story”, “Dagon”)”.

Quale è stata la scintilla dalla quale è nato il progetto: A casa prima del buio?

“Onestamente non te lo saprei dire con certezza. È un’idea che mi porto dietro dagli anni 90. Sono sempre stato appassionato di storia e in particolare degli eventi della Seconda guerra mondiale quindi sicuramente sono rimasto suggestionato da letture di quel periodo. In particolare da “Gli imperatori della musica: il novecento tedesco” di Lars Doork, uno dei pochi testi dove viene  documentato il “caso Von Hofmann”.
È un progetto che è rimasto in naftalina per circa vent’anni ma non l’ho mai accantonato del tutto.
Quando sono tornato nel mondo del fumetto dopo una lunga pausa in cui mi sono occupato d’altro, ho subito pensato che la storia era perfetta per un graphic novel.
Probabilmente la lunga gestazione ha avuto dei risvolti positivi considerando che vent’anni fa non c’era molto spazio per questo tipo di prodotti”.

Quanto è stato importante il lavoro di ricerca storica per preparare la stesura della sceneggiatura?

“Assolutamente fondamentale per un progetto come quello di “A casa prima del buio”. Il soggetto è stato scritto dopo molti anni di ricerche e anche oggi continuo a leggere tutto quello che mi potrebbe essere utile per rendere nel modo più efficace possibile l’atmosfera dell’epoca.

Uno dei miei obiettivi narrativi era quello di far davvero capire al lettore cosa significava vivere nella Germania nazista al di là di tutti i soliti cliché maturati soprattutto dopo la visione dei tantissimi film incentrati prevalentemente sulla Shoah. Al contrario il mio lavoro è volto a raccontare il quotidiano dei sostenitori di Hitler e dei comuni cittadini tedeschi che bene o male hanno solo cercato di sopravvivere tra mille dubbi anche se questo significava il più delle volte mettere a tacere la voce della propria coscienza. A questo proposito ritengo corretta l’affermazione del direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler quando sostenne che la Germania non era nazista ma era dominata dai nazisti.

Tornando alla domanda potrei giustificare storicamente qualsiasi virgola di questa storia che per essere capita fino in fondo richiede sia la lettura del fumetto che di tutta la documentazione inserita nella ultima sezione del volume. Il quadro completo si avrà al termine dell’intero ciclo che al momento prevede la produzione di circa 350 tavole di fumetto e almeno un centinaio di pagine extra”.

A casa prima del buioQuanto tempo è stato necessario per la stesura della sua sceneggiatura?

“Realizzo la sceneggiatura mentre Emiliano completa via via il suo lavoro. Sono abbastanza veloce a scrivere perché attingo costantemente al materiale accumulato negli anni. Qualsiasi sceneggiatore ti può confermare che quando hai una struttura solida e una conoscenza totale dei personaggi, scrivere i dialoghi e impostare la regia è praticamente uno spasso.

 

Questo è possibile se hai speso molto tempo a elaborare il soggetto e il trattamento. Durante i miei corsi sul linguaggio del fumetto e le strutture narrative ripeto sempre ai miei allievi che devono partire nella produzione di una storia solo dopo aver definito il soggetto nei minimi dettagli. Può essere faticoso e frustrante ma alla fine è tutto lavoro che ti avvantaggia nelle fasi successive della scrittura. Probabilmente il lettore pensa che gran parte dell’impegno riguardi la produzione della sceneggiatura ma almeno nel mio caso è esattamente il contrario.

 

Poi c’è anche da dire che io e Emiliano siamo stati fortunati dato che io stesso realizzo il lettering e quando mi tornano indietro le tavole disegnate, ho la facoltà di modificare ulteriormente il testo della sceneggiatura tenendo conto dell’effettiva resa della tavola. Può capitare che io decida di ridurre o ampliare una battuta, oppure anche spostarla da un balloon all’altro o da un personaggio all’altro”.

Ritiene che i temi trattati nella graphic novel siamo oggi più vivi che mai?

“Finché si parla dell’uomo e della sua natura ci sarà sempre un aggancio con l’attualità e un pubblico interessato ad ascoltare ciò che hai da dire. Nella nostra opera si toccano tanti temi diversi e credo sia piuttosto riduttivo considerarla l’ennesima storia sul nazismo. Come è solo parzialmente corretto considerare il lavoro come un’indagine sui rapporti tra politica e arte. In realtà il principio che mi ha sempre guidato è stata la voglia di sviluppare narrativamente le idee alla base delle ricerche di Philip Zimbardo e Stanley Milgram, due psicologi che hanno svolto esperimenti di psicologia sociale con l’obiettivo di dimostrare in che misura il comportamento dell’individuo è fortemente condizionato dal contesto in cui si agisce.

Cosa può arrivare a fare un essere umano sotto pressione e in situazioni impreviste che non ci permettono di fare ricorso ai consueti schemi mentali attraverso i quali interpretiamo il mondo. Modelli che ci aiutano permettono di fornire una “riposta” pronta e coerente con quelli che crediamo essere i nostri principi morali, con la nostra idea di “comportamento giusto” e “comportamento sbagliato”, di bene e male.
La sfida era di rendere questi argomenti non risultando didascalici come la maggior parte delle biografie a fumetti che mi è capitato di leggere. A mio giudizio una storia accurata storicamente e supportata da tante belle idee vale comunque poco se non coinvolge e emoziona il lettore.

 
Che ci si riesca attraverso gli estremismi del cinema di Lars Von Trier e Srđan Spasojević o il “buonismo” delle pellicole di Frank Capra poco importa. Le storie migliori devono costituire un’esperienza significativa e reggere a tutte le successive riletture. Quando mi guardo intorno vedo davvero pochi autori capaci di scrivere con coraggio e ambizione. Attualmente l’unica voce davvero fuori da coro è Alessandro Bilotta con il meraviglioso Mercurio Loi”.

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