La Magia del Lago dell’Accesa- Un racconto per l’estate

La Magia del Lago dell’Accesa- Un racconto per l’estate

Questo racconto è scritto da Lidia Orlandini, una delle figure più rappresentative del panorama culturale maremmano.

libri_di_Lidia_OrlandiniProfessoressa e ricercatrice storica attenta e puntuale, l’autrice ha pubblicato numerosi libri sulla storia di questa parte di Toscana.

Con uno stile fresco e semplice, ma sempre con ineccepibile rigore storico, Lidia Orlandini ha fatto arrivare fino a noi episodi noti e meno noti della storia locale, veri e propri tesori per tutti coloro che sono appassionati del genere e per le generazioni future.

A questa storia fa da scenario il Lago dell’Accesa, situato in una conca a pochi chilometri da Massa Marittima.
Recenti studi lo classificano come un “sinkhole”, ovvero una voragine creata dallo sprofondamento del terreno per la presenza di una sorgente sotterranea.

Ispirandosi ad una delle moltissime leggende legate a questo luogo magico, Lidia Orlandini lascia galoppare per una volta la fantasia allontandosi dalla ricerca storica tout court. Ma come in ogni leggenda chissà se, in fondo in fondo, non ci sia un briciolo di verità…

 

“Verdiana, la regina del Lago dell’Accesa

Una novella naturalistico-ambientale
Tanto, tanto tempo fa, viveva, a Macchia a Monte, il principe Fosco, il suo palazzo era sontuoso con stanze riccamente addobbate e luminose nei bagliori dei cristalli e degli argenti profusi al loro interno, all’esterno poi era un susseguirsi di giardini con una sorgente d’acqua che, scorrendo in rigagnoli, si raccoglieva in vasche e zampillanti fontane.

Per quanto era splendida la sua dimora, però, altrettanto era nero e crudele il suo cuore, il principe infatti, praticava froqpincantesimi e malefici, era veramente malvagio e godeva nel veder soffrire la gente, per cui tormentava e teneva nella miseria più assoluta i suoi sudditi.

Nelle sue terre nessuno scherzava più, né aveva voglia di ridere per paura di ulteriori malvagità e perfino gli animali lo percepivano come un pericolo da evitare, perciò si tenevano a distanza, compresi i suoi magnifici cani, che, al contrario, scodinzolando festosamente, correvano incontro a Silvano, il guardiacaccia che si prendeva cura di loro, che li ammaestrava ed allenava per le battute di caccia del padrone.

Silvano era un giovane robusto, ma agile, dai lineamenti regolari ben modellati, con una fluente capigliatura corvina ed occhi scuri e vellutati, nato e cresciuto a palazzo da poveri inservienti, aveva il compito di ispezionare i boschi circostanti e la riserva di caccia padronale, oltre quello di accudire i segugi.

lidia orlandiniUn giorno, mentre si recava a prendere i cani nel recinto, passando vicino al boschetto dei corbezzoli, fu colpito da un’immagine insolita, straordinaria: una fanciulla, dal volto triste, era seduta al margine della grande vasca con lo sguardo fisso in direzione della polla d’acqua schiumosa e gorgogliante. Il giovane si fermò all’istante e, estasiato, rimase immobile a contemplare quell’immagine mozzafiato: la fanciulla era straordinariamente bella con i lunghi capelli color miele sciolti e raccolti di lato, su una spalla, gli occhi verdi cangianti e lo sguardo fisso in un punto lontano.

La fanciulla, da parte sua, percepì la presenza del giovane, si voltò verso di lui e, per un attimo, i due, con una certa emozione, si fissarono l’un l’altro, quindi il giovane, silenziosamente come era arrivato, si allontanò.

Da quel giorno Silvano passò spesso di lì nella speranza di incontrare nuovamente la fanciulla ed ecco che un pomeriggio la scorge seduta al solito posto, allora garbatamente le si avvicina e le chiede il motivo di quella grande tristezza che traspariva dal suo volto ed ella, sospirando, pronunciò queste parole: “Io sono Verdiana, la regina del lago dell’Accesa ed ora prigioniera del principe Fosco”.

Una volta costui, cacciando nel canneto, mi scorse mentre mi divertivo a giocare ed a sguazzare nell’acqua insieme alle rane, allora aspettò che io mi avvicinassi alla sponda, quindi, premuroso ed affabile, mi rivolse alcune parole di convenienza. Altre volte poi lo rividi, me lo trovavo davanti ogni volta che uscivo dal lago finché, un giorno, mi chiese in moglie ed io rifiutai la sua proposta, perché, nonostante i suoi modi cortesi ed ossequiosi, era una figura “sinistra”, arcigna e malevola, tanto che perfino gli uccelli, al suo apparire, cessavano di cinguettare.

A questo punto il principe, furioso, se ne andò via minacciandomi ed io, avvertendo il pericolo incombente, mi immersi rapida nelle limpide acque del lago per raggiungere, nella profondità, la mia sicura dimora. A lungo rimasi laggiù, finché, un brutto giorno, la trasparenza diventò opacità, la scorrevolezza vischiosità limacciosa ed i pesci, impegolati, cominciarono a morire, per cui io risalii sulla sponda per rendermi conto dell’accaduto e mi accorsi che anche lì lo scenario era desolante.

Affranta, mi lasciai cadere su un cespuglio di giunchi e solo allora, girandomi, mi accorsi che Fosco era lì, nascosto tra le canne, con un’espressione soddisfatta sul viso maligno, era lì a prendere la sua rivincita ed io non potevo far niente, poiché i miei poteri cessano una volta fuori dall’acqua.

Egli parlava … prometteva la fine del maleficio, se io avessi acconsentito alle nozze, motivo per cui io, adesso, sono qui, forzatamente e senza una via di scampo, in attesa di un matrimonio non voluto”. Allora Silvano, d’impeto, esclamò: “Io ti libererò! Io ti salverò!” e, stringendole le mani, se ne andò precipitosamente.

Il giorno dopo, il giovane si alzò molto presto, uscì dal palazzo, fece un mezzo giro intorno al lago, quindi prese il lidia orlandiniviottolo che sale verso il poggio, lì, infatti, viveva la maga Cispilla, che, vedendolo, lo invitò ad entrare nella sua casupola. Silvano allora spiegò il motivo della sua visita e le chiese il suo benevolo aiuto per liberare Verdiana e ridare vita e splendore al lago.

La maga concentrò tutte le sue forze per espletare al meglio i suoi poteri, infine dette il suo chiaro responso: il principe poteva essere vinto, ma solo con l’aiuto dello gnomo Benigno, che viveva nella fitta macchia delle “Rigattaie”.

Silvano, dopo aver ripetutamente ringraziato la buona Crispilla, riprese la strada con impazienza e, cammina cammina, ben presto arrivò nel posto indicato. Addentrandosi nel folto della macchia, spingeva il suo sguardo acuto in ogni direzione ed intanto cantilenava questa filastrocca:

“Gnomo, gnomino
vieni vicino.
Benigno ti chiami
ti nascondi fra i rami.
Rami di legno
tu dai sempre un pegno
a chi viene a cercarti
e riesce a trovarti”.
Ad un certo punto sentì una vocina, che diceva: “Uffa, mi hai stancato con codesto lagnoso ritornello!” e, guardando in quella direzione, Silvano vide un esserino altoun palmo, vestito di verde e con uno strano cappelluccio in testa, senza che il giovane parlasse, lo gnomo, a sua volta, canterellò:
“Fosco è malvagio
tiene prigioniera la regina del lago
ma tu lo annienterai di sicuro
quando mangerà il frutto duro
la ghianda straordinaria, fatata
alla “Valle al Confino” germogliata
su una pianta né quercia né leccio come si conviene
ma l’una e l’altra insieme.
Faticare dovrai
contro il serpe ed il grifone lotterai
se impavido resterai
il frutto sorprendente coglierai”.

Poi gli dette il suo pegno: due sassolini, che avevano il potere di pietrificare, con il loro contatto, gli animali a guardia dell’albero, quindi svanì nel nulla. Il giovane, con il suo tesoro in tasca, mise le ali ai piedi e, in men che non si dica, arrivò al palazzo giusto in tempo per accudire ai cani ed adempiere ai propri doveri.

Era buio quando, il mattino successivo, Silvano partì alla volta della Valle al Confino e, mentre avanzava nell’oscurità e nel silenzio più totale, i suoi timori si ingigantivano, aveva paura ed i versi reiterati degli uccelli notturni gli sembravano indizi di malaugurio, giunse infine la sospirata aurora dalle “dita rosate” e, con sollievo ed accresciuta fiducia, si avventurò nella macchia.

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Era trascorsa quasi metà giornata quando, attraversando un fosso, su un costone gli apparve l’albero straordinario: dritto, con grosso tronco cavo, pochi rami, larghe foglie ed una strana ghianda pendente lateralmente, gli animali a guardia non si vedevano, per cui egli si appostò e rimase in attesa.

 

 

Dopo un po’ avvertì un fruscio: era un topolino, che, guardingo, si era fermato in uno spiazzo, contemporaneamente sentì un gran frullo d’ali: il grifone, dal suo nascondiglio, era sceso a ghermire la preda, allora Silvano lanciò il sassolino magico e, “tac”, l’uccello restò di pietra, poi, quatto quatto, con circospezione si avvicinò all’albero e, dentro la cavità del tronco, trovò acciambellato il serpe, che fu facile colpire come, altrettanto facile, fu cogliere la ghianda fatata, quindi, sprizzando gioia da tutti i pori, correndo e saltando, il giovane rientrò a palazzo.

Verso l’ora di cena Silvano scese in cucina e dette al cuoco la ghianda fatata, dicendogli che doveva essere macinata ed usata per insaporire le pietanze della cena del padrone, poi si recò in una stanza vicina alla sala da pranzo, fingendo di svolgere un lavoro assegnatogli dal padrone e lì rimase in attesa di ciò che presto sarebbe avvenuto.

Ad un certo punto si sentì ungrande urlo e poi un fracasso: Fosco, contorcendosi, era caduto a terra morto.Nel trambusto e nella confusione generale, che ne seguirono, Silvano e Verdiana poterono allontanarsi indisturbati dal palazzo e, al chiarore della luna, tenendosi per mano, i due giovani si inoltrarono fra le alte erbe palustri e, sempre tenendosi per mano, scivolarono leggeri dentro l’acqua del lago per raggiungere la regale dimora di Verdiana, dove tuttora vivono felici.

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E così, nelle notti di luna piena, può capitare di vedere un luccichio sulla superficie del lago: è il brillio degli occhi di Verdiana, che, sorridendo, vigila sul suo regno; questo, per lo meno, narrano le canne palustri che, piegando lievemente le cime alla brezza notturna, rimandano, coi loro bisbigli, l’eco di questo racconto da sponda a sponda, fino a ricoprire l’intera vallata.

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