La vita di Lucille Teasdale in un fumetto

La vita di Lucille Teasdale in un fumetto


Lucille degli Acholi

di Ilaria Ferramosca e Chiara Abastanotti

(Edizioni Il Castoro)


Da poche settimane è uscita la graphic novel Lucille degli Acholi che ripercorre la straordinaria esperienza umana di Lucille Teasdale, il medico canadese che scelse di lavorare in un ospedale in Uganda per la maggior parte della propria vita.

La sceneggiatura è di Ilaria Ferramosca (l’abbiamo già conosciuta con Charlotte Salomon – I colori dell’anima) mentre i fumetti sono stati realizzati da Chiara Abastanotti.

Con grande piacere pubblichiamo la chiacchierata con Ilaria Ferramosca, a breve seguirà l’intervista quella con Chiara Abastanotti.


Essere medico non è una professione, ma una vocazione, un modo di dedicarsi alle persone. E se lo fai, perchè non farlo per chi ne ha maggior bisogno?”


Lucille Teasdale


Come è nata l’idea di creare il fumetto Lucille degli Acholi?

“Ho sentito parlare per la prima volta di Lucille Teasdale a dicembre del 2020, quando sono stata contattata da Il Castoro per scriverne la storia. Non ne sapevo niente prima di quel momento e, oltre alle informazioni inizialmente ricevute, in quella circostanza cercai di approfondire prima di fare la mia scelta.

La vicenda mi colpì immediatamente: una donna che aveva lottato per affermare il proprio sogno di studiare chirurgia e praticare la professione, in più l’abnegazione nello svolgerla con assoluta dedizione ai pazienti fino alla fine. Una storia di determinazione e resistenza (agli ostacoli, alle guerre civili, alla malattia…), così decisi senza esitazione di accettare”.

E la sua collaborazione con l’illustratrice Chiara Abastanotti, come nasce?

“Ho conosciuto Chiara nel 2016, quando la casa editrice BeccoGiallo ci propose di scrivere la storia della testimone di giustizia Lea Garofalo e di sua figlia Denise. Fummo messe in contatto e lavorammo insieme a distanza, entrambe agli antipodi dell’Italia: Brescia lei, Lecce io.

 

Il connubio che ne venne fuori funzionò benissimo, sia sul piano professionale sia umano, e quando da Il Castoro mi comunicarono che avrei potuto collaborare con un disegnatore o disegnatrice da loro individuati, o avrei potuto proporre qualcuno io, pensai subito a Chiara e alla fine fu scelta proprio lei”.

E’ stato complesso narrare la vita di questa donna?

Lo è stato senza dubbio. Oltre a dover ricostruire e sintetizzare gli eventi principali di una vita densa di personali battaglie, è stato necessario documentarsi su tutto il contesto: da quello storico-culturale del Canada nel dopoguerra, in linea con un intero mondo che riteneva la chirurgia puro appannaggio maschile relegando le donne ai soli ruoli di insegnanti o infermiere, alla storia dell’Uganda.

Quest’ultima dapprima terra fiorente in via di sviluppo come protettorato inglese, poi territorio martoriato dalle guerre civili sotto l’egida di generali folli e tiranni, fino all’arrivo di quel virus che sul finire degli anni ‘80 sconvolse il mondo intero: l’AIDS, che Lucille contrasse accidentalmente operando un paziente che non sapeva essere infetto”.

Della straordinaria esperienza umana di Lucille, cosa l’ha colpita in maniera particolare?

“La sua forza, la sua determinazione, il suo spirito umanitario. Sin da quando era una tirocinante criticava le scelte dei colleghi, che vedevano la medicina come fonte di guadagni maggiori rispetto ad altre professioni, oltre che strumento di futura notorietà.

 

Per Lucille essere medico significava il privilegio di ricevere la fiducia di un altro essere umano, che avrebbe messo nelle sue mani il bene più prezioso: la vita”.

Secondo lei, nella società di oggi schiacciata dal conformismo, c’è ancora spazio per le donne di lotta?

“Lucille, nel condurre la propria lotta, ha avuto la fortuna d’incontrare un uomo dalle vedute talmente ampie, per l’epoca, da darle sempre il giusto risalto. Piero Corti ha dimostrato amore nei suoi confronti, ma anche eterna gratitudine; sapeva che Lucille aveva sacrificato i propri obiettivi per abbracciare il sogno che lui coltivava: l’ambizione visionaria di trasformare un piccolo dispensario di cure nel più grande ospedale gratuito del Nord Uganda.

Ancora oggi, in una società evoluta più dal punto di vista tecnologico che culturale, è necessario creare leggi a sostegno della parità di genere e uomini come Piero costituiscono una rarità, per cui le donne in lotta ci sono ancora e purtroppo non costituiscono l’eccezione”


Intervista a cura di Fausto Bailo, promotore culturale


 

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