Musica: intervista al chitarrista Stefano Pilia

Musica: intervista al chitarrista Stefano Pilia


Stefano Pilia è tra i più rilevanti chitarristi, contrabbassisti e compositori della scena musicale contemporanea. Genovese, inizia a suonare come improvvisatore in una formazione classica, diplomandosi al Conservatorio di Bologna e approfondendo lo studio dei processi di registrazione e produzione sonora con numerosi strumenti musicali. Porta avanti un percorso di ricerca sonora che negli anni l’ha visto collaborare con gruppi e musicisti in ambiti e con sonorità molto diverse.

 

Con piacere l’abbiamo intervistato.


Stefano ci racconti qualcosa di lei…

“Meglio di no.. non vorrei annoiare il vostro pubblico”.

La passione per la musica è un tratto ereditario della sua famiglia?

“Quasi per nulla direi, ad eccezione del mio bisnonno che lavorava principalmente come falegname, ma essendo molto appassionato di musica dedicava gran parte del suo tempo a suonare l’organo ed il contrabbasso – il liron cosi lo chiamava mio nonno – strumento con il quale mi sono poi diplomato anche io al Conservatorio di Bologna.

Insegnava musica ai ragazzi nel santuario vicino casa, non l’ho mai conosciuto. Suo figlio, cioè mio nonno, falegname anche lui, aveva ricevuto in eredità, per cosi dire, questa passione per la musica. Cantava nella corale del paese di Ostiglia. Spesso mi parlava del bisnonno e di quando da ragazzo andavano in bicicletta all’arena di Verona per sentire l’opera e ritornavano a casa sempre pedalando con il sole ormai alto”.

Quando si è accorto che la sua passione per la musica si stava trasformando in professione?

“Quando passavo la maggior parte del mio tempo attorno alla musica e non ad altro. Mi affascinava anche la possibilità di poter esplorare e viaggiare il mondo attraverso di essa e cosi ogni altro pensiero o attività che mi allontanassero da questi desideri diveniva ostacoli da cui rifuggire. Come se mi stessero rubando tempo ed energie. Così, seppure non a cuor leggero, lasciai l’università e decisi che avrei dedicato il mio tempo a fare musica.

Credo che il mio desiderio non fosse solo strettamente musicale, comprendeva la possibilità di potermi dedicare ad un attività che mi lasciasse la possibilità di esplorare ed indagare nel modo più libero ed indipendente possibile”.

Quali sono stati i suoi primi passi nella musica?

“Il primo entusiasmo è arrivato per i registratori a cassetta. Mi piaceva giocare con il registratore e poi modulare e cambiare la velocità dei nastri. Ricordo che i soggetti dei primi esperimenti musicali sono stati una piccola tastiera Bontempi e il mangiacassette. Ma il fuoco sacro vero e proprio per la musica è arrivato successivamente, direi durante le scuole medie, con la scoperta del rock e del punk. Si aprì in me un orizzonte di rivoluzione e senso, arrivati oserei direi come un dono”.

Come nasce il disco Lacinia?

“E’ il secondo capitolo di un lavoro iniziato con il precedente Spiralis Aurea sempre edito da Die Schachtel. Sono raccolte di composizioni concepite per organici variabili o non specificati.

Le idee generative mirano a realizzare forme musicali i cui principi strutturali e formali siano determinati da numeri e rapporti di particolari serie  – Fibonacci in particolare ed altre strutture frattali, simmetriche – da certa numerologia e da figure geometriche di particolare rilevanza simbolica.

C’è il desiderio di indagare e di scoprire possibili aspetti archetipici qualitativi legati a certi numeri, a certi movimenti e forme connesse ai loro rapporti all’interno di un contesto strettamente tonale. Il principio generativo è sempre quindi inteso come un motore immobile. La forma musicale vi deriva come conseguenza di un processo in atto, algoritmico, isomorfo e sistematico. Allo stesso tempo intesa come possibile manifestazione di contenuti archetipici attraverso una metodologia di riscoperta delle proprietà armoniche e numerologiche presenti all’interno dei rapporti tonali e in senso più ampio della tonalità.

L’obiettivo principale dei miei lavori in questi anni di pratica artistica non è mai stato incentrato necessariamente sulla ricerca del nuovo, quanto sul tentativo di creare un discorso musicale in grado di offrire un’esperienza di ascolto attivo e di relazione con possibili rappresentazioni archetipiche (da una prospettiva mito-narrativa o numerica).

Questa con declinazioni ovviamente diverse e probabilmente anche con ingenuità, è stata l’unica costante sempre presente nelle mie produzioni musicali. Non è invece altrettanto semplice e chiaro elaborare ed esprimere quali siano le motivazioni più intime e personali che hanno portato alla realizzazione di questo lavoro.

Certamente, in restrospettiva, vedo tracce ed indizi di ciò attraversare diversi momenti biografici della mia vita e nei precedenti lavori tendere verso una tale configurazione. Tuttavia sotto molti punti di vista trovo che questo ultimo passaggio rappresenti inevitabilmente l’inizio di un nuovo ciclo nella mia produzione artistica.

Quindi il discorso musicale non è più generato da una relazione sensoriale con il suono?

Nei lavori precedenti, nel rapporto tattile e gestuale con il mio strumento, la chitarra, fino più alle suggestioni immaginifiche tratte dall’esperienza acustica/acusmatica e poi tradotte in un processo compositivo, la musica era sempre estratta o liberata dalla materia sonora. Spesso era proprio la stessa materia sonoraa indicare o a privilegiare una direzione.

 

A posteriori potevo leggervi un meta racconto e quindi l’opera o il brano trovavano così un loro titolo. Qui la musica è invece prima vista  e poi udita. Sempre più mi sono avvicinato al contemplare un’idea sottraendomi al gesto sonoro, sperando forse che questo togliermi un po’ più dalla musica e l’operare in questa direzione lasciassero più spazio all’ascolto e all’ascoltatore.

 

Così la forma ha reclamato tutte la sue necessità. In questo senso e’ stata epifanica la visita al cimitero germanico costruito sul passo della Futa al confine tra Toscana ed Emilia-Romagna: un’ opera di architettura attraversata da pensieri sul paesaggio, sulla storia, sui simboli, sul rito. Un’opera in cui estetica ed etica cooperano assieme nel mantenere viva la memoria ed inevitabilmente offrire una riflessione sulla vita e sulla morte. una preghiera per i vivi e per i morti.

 

Mi sono chiesto e mi chiedo tutt’ora se non siano semplicemente forse questi stessi i motivi a muovere anche le mie motivazioni più intime e personali e il senso del mio operare. Cioè niente più che una inevitabile e profonda necessità umana di avvicinarsi un po’ di più alla comprensione di tali questioni”.

Proprio in questi giorni si esibirà vicino a Cuneo, a Bastia, in un concerto organizzato dall’associazione Monsonica…

“Si. Ho conosciuto Monsonica tramite Die Schachtel e il grandissimo Bruno Stucchi, titolare dell’etichetta e presidente dell’associazione”.


Intervista a cura di Fausto Bailo, promotore culturale.


 

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