Così chiamò l’eterno: ce ne parla Guia Risari

Così chiamò l’eterno: ce ne parla Guia Risari

Guia Risari

Tra i numerosi libri stampati, non si poteva non omaggiare (con merito) quelli della scrittrice Guia Risari, uscita recentemene in libreria con Così chiamò l’eterno, edito da Stampa Alternativa.

Un’opera umoristica e scanzonata che nasconde una riflessione profonda sull’esistenza e affronta in chiave parodistica la Genesi.

Ne parliamo direttamente con l’autrice e ringraziamo Fausto Bailo e la Premiata Libreria Marconi di Bra(Cn) per aver fatto da intermediari.

Quale è stata la scintilla che l’ha portata a scrivere Così chiamò l’eterno?

“Ha scelto proprio un’espressione felice perché, per la mistica ebraica, la creazione è il risultato di scintille divine, shekhinà appunto. Per me la la scintilla iniziale è l’amore per il creato, la meraviglia, la volontà di penetrare i suoi segreti, di trovare un senso possibile. Quindi mi sono affidata alla forza narrativa per inserire l’universo all’interno di un quadro che rispondesse alle mie esigenze di bellezza, meraviglia e senso”.

Quanto è stato stimolante far rivivere la creazione?

“Molto. È stato come percorrere un’alta via di cui si conosce, a grandi linee, l’itinerario, ma di cui si ignorano i dettagli, le scenografie, i paesaggi, gli scorci. E quindi ho avuto il privilegio, riscrivendo la Genesi, di rivivere il farsi del nostro mondo e di inserire diversi particolari strampalati, divertenti, verosimili però e in questo senso possibili. In fondo, nessuno sa davvero com’è andata…”

Tra gli innumerevoli personaggi che compaiono nel libro quale l’ha incuriosita di più?

“Ho provato molto affetto per Dio, così appassionato di perfezione, così in buona fede e così lontano dal capire cosa può accadere all’esistente. Ma il personaggio più stratificato, quello che conosce la più grande evoluzione e che cambia di stato, carattere, colore, visione del mondo, è Lucifero. È da lui che è partito tutto il libro, dalla sua impossibile posizione di angelo prediletto del Signore che assiste all’ascesa di una creatura tanto fallibile come l’uomo”.

Per la stesura del suo libro si è avvalsa della collaborazione di religiosi?

“No, ma mi sono avvalsa delle mie letture e del confronto con teologi di varie religioni. Tra i miei primi lettori c’è però stata una suora molto preparata e intelligente che mi ha rimproverata di averle rovinato per sempre la Genesi, ma ha definito la mia scrittura sublime. Quindi mi ha perdonata”.

Quanto tempo è stato necessario per la stesura definitiva del libro?

“È un libro che ho scritto tutto d’un fiato, tanto l’ispirazione era forte. Scrivevo ogni pomeriggio due, tre capitoli senza interrompermi e li rileggevo poi al mio primo lettore ad alta voce. Ho continuato così per alcune settimane finché non sono arrivata alla fine, che ho vissuto un po’ come un lutto. Perché la scrittura di questo libro, che spero risulti una lettura divertente, è stata per me un’attività spassosa, per niente sofferta, un fare artigianale pieno di sorprese, trovate e risa. Non capita spesso”.

Quale genere musicale può accompagnare la lettura del libro?

“Una musica vivace di chitarra classica, un po’ flamenca un po’ classica, come ho sentito a San Francisco da John H. Clarke, autore di un album intitolato Acoustik Guitar. È un ritmo rapido, scherzoso, pieno di trilli, schiocchi e una grande armonia”.

Descriva questo libro con tre colori…

“Un bianco-luce per avvolgere e accompagnare l’operato dell’Eterno; un rosso striato di nero per colorare il progressivo trasformarsi di Lucifero da creatura angelica a demoniaca; il verde erba per parlare di Adamo e della sua prossimità alla natura e alla terra”.

Progetti per il futuro?

“Attendere il momento giusto per affrontare un argomento che mi sta a cuore da anni e che ruota intorno al tema dell’infanzia abusata. Non sarà un lavoro facile, mi farà soffrire molto e per questo lo rimando. Ci vuole coraggio, a volte, per scrivere: si aprono porte che sarebbe più facile lasciare chiuse e ignorare.

 

Ma quello che spinge a farsi violenza per lasciare un segno è la profonda fiducia nel dovere della condivisione. Io sono grata a tanti scrittori che si sono immolati sull’altare delle storie trasmesse. Il minimo che possa fare è accettare di compiere qualche piccolo sacrificio anch’io, rinunciare per un certo periodo al benessere, e offrire un dono a tutti i lettori”.

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