Thriller: ‘Le regole infrante’ parla Silva Gentilini

Thriller: ‘Le regole infrante’ parla Silva Gentilini


Le regole infrante
di Silva Gentilini
(Piemme, 2025)


Chi è Silva Gentilini

Nata a Orbetello (GR) nel 1961, ha lavorato come consulente story editor per Mediaset ed Endemol, occupandosi di fiction tv, e come giornalista freelance per le riviste Cosmopolitan e Moda.

Ha pubblicato poesie e racconti con il poeta Roberto Roversi su La Tartana degli influssi ed è stata inserita nella Lista d’Onore al premio dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano.

Editor e ghostwriter, è anche autrice del romanzo Le formiche non hanno le ali (Mondadori, 2017).

 

Di cosa parla il libro

La storia si snoda in Toscana, a Villa delle Rose, una clinica lussuosa specializzata nella cura di tutti i tipi di dipendenze: farmaci, alcol, sesso, gioco, cibo. Immersa in un prato con una bordatura di rose, trasmette sensazioni rassicuranti. Ma è davvero il luogo sereno ed efficiente che appare?

 

La villa appartiene alla famiglia del custode, ormai ultimo discendente, e la sua trasformazione in clinica è stata voluta dalla madre per sanarla, darle nuova vita. L’uomo, con evidenti problemi mentali, trascorre la vita a spiare i degenti attraverso telecamere illegali. Un’esistenza vissuta attraverso quella degli altri.

 

‘Sono guardiano di segreti, archivista di storie mai raccontate. E la verità è un osso piantato in gola: non sale, non scende.’

 

Ma pur nel contesto distorto e carico di sofferenza tre personaggi sbeccati e doloranti, Vinni Bianca e Toni, si incontrano e stringono un’amicizia profonda.

 

Ed è proprio quando il lettore tira un sospiro di sollievo che qualcosa di grave accade. Arriva la polizia per indagare. Emergono nuovi dettagli, piccole tessere di un puzzle che ci restituirà il quadro completo della storia.

 

Silva Gentilini

Cosa ne penso

Trama avvincente, personaggi complessi e momenti di forte coinvolgimento emotivo in questo thriller psicologico perturbato e perturbante.

Esplorando temi come manie, ossessioni e perdita del senso della realtà, l’autrice trasmette fin dalle prime pagine grande inquietudine, come se qualcosa di familiare diventasse d’un tratto estraneo e minaccioso. Ma è proprio questo stato d’animo che costringe il lettore a non smetter di leggere, ad andare avanti.

Anche la scelta dell’ambientazione aggiunge tensione alla storia: Villa delle Rose, luogo all’apparenza gradevole e accogliente, si rivelerà chiuso e angusto, i protagonisti accerchiati da qualcosa/qualcuno e privi di una vera libertà.

La ricerca psicologica bilancia azione e intensità emotiva, rendendo la lettura serrata. I dialoghi e la scrittura vanno lodati per la loro qualità elevata, per lo stile efficace e penetrante rivelandosi altro punto di forza.

Ponendo grande importanza sull’interiorità dei personaggi e sulla loro stabilità mentale, Silva Gentilini si conferma autrice sensibile e appassionata. Profonda conoscitrice delle fragilità umane che indaga sempre con attenzione ma anche indulgenza, ci consegna una nuova storia capace di conquistare i lettori e lasciarli con la speranza che anche dopo tanta sofferenza si possa sempre ripartire.

Intervista all’autrice

 

Spesso, e come in questa storia, i protagonisti dei thriller hanno alle spalle situazioni personali o familiari problematiche. Si portano addosso ferite difficilmente rimarginabili. È questo secondo lei che li rende più reali e umani?

Si, questo crea empatia con il lettore. Ognuno di noi in qualche modo e forma credo abbia conosciuto il dolore. Non si supera mai il male che abbiamo subito. Si accetta come una sbeccatura, si impara a conviverci con il passare del tempo.

E in che modo si può superare il male?

Il male si può sconfiggere con la ricerca della verità e della pace. Anche con la bellezza della natura, con gli affetti e la vicinanza di qualcosa di amabile. Con l’arte, la cultura, l’amore per gli animali. E, perché no? Anche con i thriller…

Come è nato questo libro?

Da un’esperienza personale, anche se per fortuna molto diversa. Mi sono dovuta curare dall’età di quattordici anni, anche per le mie vicende familiari, per una cefalea che mi rendeva spesso difficile fare anche le cose più banali. E sono diventata farmaco dipendente da un barbiturico prescritto dal mio medico. Sono stata ricoverata in una clinica privata per cercare di liberarmi da questa dipendenza. Ecco, è stata questa la scintilla che mi ha fatto pensare alla vicenda.

Ha attinto dalla sfera personale, un po’ come nel suo precedente romanzo ‘Le formiche non hanno le ali’?

Diciamo che lì ho messo a nudo me stessa ed un passato molto difficile da dimenticare. C’è stata molta sofferenza. Qui invece mi sono sentita leggera nello scrivere essendo più distaccata emotivamente dalle vicende che raccontavo.


Recensione e intervista a cura di Dianora Tinti, scrittrice e giornalista.


 

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