Lo scrittore Ugo Moriano parla di sè e dei suoi libri

Lo scrittore Ugo Moriano parla di sè e dei suoi libri

Intervistiamo con grande piacere Ugo Moriano, noto scrittore di gialli storici e fantasy, ma specializzato anche nel giallo ligure.

Nella sua carriera ha vinto prestigiosi Premi letterari ed è stato anche finalista al Premio Bancarella 2013 con il romanzo storico L’ultimo sogno longobardo).

Per chi se la fosse persa ecco anche la recensione alla sua ultima opera…

https://www.dianoratinti.it/attacco-dal-cielo-droni-di-ugo-moriano/

Lei è uno scrittore curioso e versatile, spazia dai gialli/noir/thriller, ai fantasy fino ai romanzi storici. C’è un filo conduttore che accomuna la sua produzione letteraria?

L’amore profondo per la lettura. Ho letto migliaia di romanzi spaziando tra moltissimi generi. Poi, a un certo punto della vita, mi sono accorto, con non poca sorpresa, di riuscire a raccontare storie e allora, seguendo i sentieri della fantasia, ho iniziato ad esplorarli uno ad uno correndo dietro all’ispirazione del momento.

Il Giallo ligure è un genere nel quale si è specializzato. Quali sono le peculiarità, oltre all’ambientazione che suggerisce il nome?

La Liguria è una terra molto particolare, seppur bagnata per tutta la sua lunghezza dal mare, è in realtà un territorio dominato da colline e montagne dove la vita, soprattutto in passato, era una lotta costante contro le asperità. Il giallo ligure è uguale, investigatori poco appariscenti, ma tenaci; scorci di esistenze prive di particolari vanità; attenzione puntigliosa ai particolari; trame rette e tese, prive di fronzoli. Quando lo si incontra, pure il male non è grandioso, ma figlio minimalista di queste contrade.

Ultimamente stiamo assistendo al successo commerciale di thriller e noir. E’ solo un’abile mossa commerciale oppure ci sono ragioni profonde che spingono i lettori verso questo genere?

A mio parere ogni genere letterario è figlio del suo tempo. Un esempio lampante è quello della fantascienza in auge negli anni 40/50 perché allora si credeva a una prossima conquista del cosmo e orasi è ridotto a un genere di nicchia perché nessuno si aspetta più di conquistare le stelle.

Lo stesso vale per thriller e noir. La società occidentale è apparentemente in declino, crescono le paure, le incertezze e non ci sono sogni di grandi traguardi imminenti, così i lettori si rifugiano in questi generi che un po’ rispecchiano le loro paure quotidiane. Poi naturalmente il marketing fa sicuramente la sua parte.

Potrebbe esserci il rischio di una loro omologazione a diktat commerciali e quindi un appiattimento dell’offerta narrativa?

Sicuro. Se si entra in una libreria ci si accorge che gli scaffali debordano di romanzi sentimentali e noir. Le case editrici premono per sempre nuovi titoli, ma pure il pubblico dei lettori, con le sue scelte, impone alcune linee di vendita e non altre.
Per quanto ogni scrittore abbia a propria disposizione l’arma della fantasia, la sua libertà viene spesso conculcata dalle aspettative dei lettori che ne stabiliscono i confini entro cui può navigare. Uscirne è un’impresa titanica, spesso votata alla sconfitta.

Finalista al Premio Bancarella 2013 con il romanzo L’ultimo sogno longobardo: romanzo epico e cavalleresco che prende avvio nel 773 e si conclude agli inizi del IX secolo e che vede protagonisti tre ragazzini arabi. Cosa ha di particolare questa storia per essere arrivata così in alto?

Credo che il suo punto di forza sia stato, oltre alle ambientazioni abbastanza fedeli e all’epicità della storia, la possibilità del lettore di immedesimarsi nei personaggi e trovarsi così a vedere e vivere la storia attraverso i loro occhi. Dimenticare, come spesso accade con questo genere di romanzi, di essere figli del ventesimo secolo.

Quali difficoltà deve superare un autore di romanzi storici per calarsi in personaggi che sono vissuti in epoche passate?

Scordarsi del presente. Andare sui luoghi descritti e “vivere” mentalmente la storia, sentirne i rumori, le parole, i profumi (anche se poi nel romanzo è impossibile riprodurli). Guardare le vestigia che rimangono e immaginarle piene di vita, attraversare vallate e non vedere le case moderne, i tralicci elettrici, ma le foreste fitte e impraticabili contornate da valli e colline prive di strade o sentieri.
Oggi viviamo immersi in grandi comunità interconnesse, allora l’Europa era spopolata, i villaggi erano pochi e isolati, i contatti con il prossimo avvenivano raramente.

In tutti i suoi libri gli intrecci in cui ognuno offre il meglio e il peggio di sé si vanno a integrare con le ambientazioni che fanno da sfondo alla storia. Da uno a dieci, quanto è importante lo scavo psicologico?

Verrebbe facile rispondere dieci e in certi casi è proprio così, ma spesso potrebbe bastare un otto, perché contano molto anche la trama, le storie personali (intese proprio come vicende), gli sfondi su cui ogni personaggio si muove.

Non tutti gli scrittori della sua generazione dimostrano propensione per l’uso dei sociale e del web in generale, mentre lei ne fa uso. Pro e contro…

Il web per uno scrittore è importantissimo perché gli permette di travalicare i confini geografici in cui si muove e gli fa raggiungere lettori che mai avrebbero sentito parlare di lui.

Una buona pagina web è essenziale, anche se poi occorre trovare il modo di porla in evidenza. I social svolgono egregiamente il loro ruolo anche se, per ottenere dei risultati accettabili, occorre lavorarci con costanza cercando di mantenersi in equilibrio su quella stretta linea che demarca la pubblicità dall’intromissione molesta.

Per contro, ogni errore viene amplificato e, se non si sta molto attenti, il web può trascinarti velocemente a fondo, spazzando via anni di lavoro e impegno.

Attacco dal cielo è l’ultimo nato e primo romanzo del ciclo dedicato alle indagini internazionali di Umberto Gamondo. Perché nei thriller/gialli/noir si sceglie spesso la serialità? È un modo per fidelizzare i lettori o ci sono anche altre motivazioni?

Sarebbe inutile negare che uno degli obiettivi di ogni scrittore seriale è quello di fidelizzare il lettore, ma, almeno nel mio caso, ci sono altre motivazioni.
In Attacco dal cielo la storia del maggiore Gamondo non poteva essere raccontata in un solo romanzo e da qui è nata la necessità di scrivere più libri per poterne sviscerare tutti gli aspetti.
Nei noir della Fratelli Frilli invece la serialità porta a ampliare, episodio dopo episodio, la conoscenza che si ha degli ispettori e dei personaggi che ruotano intorno a loro. Creandoli spesso gli diamo una vita che non può esaurirsi in un solo momento.

Che tipo è Umberto Gamondo? Cosa ha di particolare?

Umberto è una persona normale che ha scelto un modello di vita e lo percorre senza esaltazioni particolari, ma senza però risparmiarsi alcuna fatica. Fin dal primo incontro si capisce che, pur soffrendo, non si è dato per vinto e continua a perseguire con tenacia il suo obiettivo.

Questo genere letterario è piuttosto definito e regolamentato. C’è qualche trucco per non incorrere in errori e evitare che i lettori possano trovarsi di fronte a qualcosa di già rivisto?

Il trucco è quello di usare la propria fantasia senza cercare di prendere spunti da altre parti. Detto questo, dato che sono stati scritti milioni di romanzi, l’originalità assoluta ormai è quasi impossibile. Occorre scrivere cercando, in buona fede, di essere originali inseguendo con impegno soluzioni non scontate. Il lettore di questo se ne accorge sempre.

Cosa direbbe di non fare, ad un aspirante scrittore di thriller?

Inventarsi trame anche quando non ci sono; imporre una soluzione alla propria storia anche quando questa ha preso una strada inaspettata; scrivere per cercare di guadagnare, anche se questa regola vale per tutti coloro che scrivono.

A chi consiglierebbe i suoi romanzi e perché…

I miei romanzi sono per tutti, non ho un pubblico predeterminato. Consiglierei di leggerli per trascorrere alcune ore in compagnia dei miei personaggi, dimenticando così delle vicende quotidiane.

Potrebbe lasciare un pensiero, una frase, una considerazione personale ai lettori di Letteratura e Dintorni?

Vi lascerò una frase non mia, ma che rispecchia pienamente il mio pensiero.
“Una casa senza libri è come una stanza senza finestre” (Marco Tullio Cicerone)

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