‘Agata del vento’: intervista esclusiva a Francesca Maccani
Agata del vento
Un romanzo di mare e di cielo
di Francesca Maccani
(Rizzoli, 2024)
Chi è Francesca Maccani
Francesca Maccani è una scrittrice nata in Trentino che da circa quindici anni vive a Palermo dove insegna in un Istituto di Scuola Secondaria. Nel 2018 ha vinto il premio Donna del Mediterraneo con La Cattiva scuola una storia scritta a quattro mani con la scrittrice Stefania Auci. Esordisce nel 2019 con il romanzo Fiori senza destino, ma viene conosciuta e apprezzata dal grande pubblico per il romanzo Le donne dell’Acquasanta.
Agata del vento è la sua ultima pubblicazione. La ringraziamo per l’intervista che ci ha gentilmente concesso.
Di cosa parla il libro
A Lipari, alla fine del XIX secolo, nasce Agata in circostanze difficili. La madre, Cettina, viene colta dalle doglie del parto in mezzo al mare in una notte d’inizio estate mentre stava pescando insieme alle sue compagne di lavoro. La barca riesce appena in tempo ad arrivare a riva e lì, assistita dalle amiche e dalla levatrice, Cettina partorisce la figlia.
Agata, divenuta adolescente, scopre di avere un dono speciale che la rende sensibile ai fenomeni paranormali e che le permette di aiutare tutte le persone affette dai malesseri di diverso tipo. Usa questo suo particolare dono solo a fin di bene e non richiede compenso per le sue prestazioni. In paese tutti la conoscono e finiscono per considerarla una majara. In realtà lei è una adolescente molto sola che fatica e lotta ogni giorno per affrontare i problemi del vivere quotidiano e le frustrazioni.
Abbandonata dal padre, emigrato in Argentina quando era bambina, e alle prese con una madre anaffettiva incapace di dimostrarle amore, Agata si rifugia tra le braccia di Tanu del quale è profondamente innamorata. Ma presto si rende conto che il suo è un amore impossibile. Agata soffre in silenzio e fa del lavoro e del dono ricevuto il centro della sua esistenza. Spera in un destino diverso da quello che l’isola, con il suo substrato culturale offre a quella comunità chiusa, dove i ruoli tra maschi e femmine sono ben delineati e perpetuati nel tempo.
Tuttavia, Agata è in grado di intervenire sul suo presente lasciandosi trasportare dal vento, metafora della sua volontà di cambiamento e di emancipazione. Il vento la condurrà verso scelte difficili e dolorose, ma le offrirà il coraggio di andare avanti e di realizzare i suoi desideri più intimi.
Cosa ne penso
Quella di Agata è una storia di una donna d’altri tempi capace di emozionare e far riflettere su temi importanti come quello dell’emancipazione e del cambiamento. È anche uno spaccato fedele e puntuale della cultura siciliana, in particolare delle piccole isole, dove le comunità locali sono costrette ad affrontare l’isolamento.
Uomini e donne devono necessariamente far fronte ai problemi quotidiani facendosi forza tra di loro. Microcosmi dove senza medici che si occupino della guarigione dei malati, senza uomini a causa del fenomeno migratorio, delle guerre o di altri motivi, donne e bambini devono prendere il loro posto. La vita, di fatto, offre tutti gli escamotage per andare avanti.
La cosa che più mi ha colpito è il senso di solidarietà esistente in questo tipo comunità dove tutti sono disposti ad ascoltare gli altri ed andare incontro ai loro bisogni. Proprio la solidarietà, associata all’altruismo, ha permesso alle piccole comunità di perpetuarsi nel tempo e di sopravvivere fino ai nostri giorni.
La storia di Agata è legata ad un passato che sembra ormai dimenticato, ma che la forza della scrittura restituisce al presente. Questo romanzo, come il vento, ci scuote e ci scompiglia e ci induce ad una riflessione profonda sul cambiamento e sulla libertà individuale.
Francesca, questo romanzo segue in ordine di tempo il grande successo ottenuto con Le donne dell’Acquasanta. C’è un filo conduttore che lega le due storie? Cosa le accomuna e le distingue?
I due romanzi, pur essendo completamente diversi tra loro, sono effettivamente legati non solo dalle tematiche incentrate su figure femminili, ma anche da un filo conduttore storico che è costituito dai fascianti. Nelle Donne dell’acquasanta si parla dei fasci di combattimento. Non a caso il sindacalista Salvo, figura determinante nello svolgimento della narrazione, matura in quell’ambiente. Nel romanzo Agata del vento ambientato a Lipari, tra i carcerati coatti, v’è la presenza di molti fascianti che sono stati relegati lì sull’isola dal governo Crispi.
Com’è nata l’idea di scrivere Agata del vento?
E’ nata a Lipari durante un viaggio d’istruzione fuori stagione con una delle mie classi. A causa del forte maltempo siamo rimasti bloccati sull’isola e così, visto che eravamo completamente isolati, ho avuto modo di parlare con la guida che ci accompagnava e con i pescatori del luogo. Dalle nostre chiacchierate, complice il maltempo e il mare è molto mosso, sono cominciate a venir fuori delle storie particolari, come quelle dei tagliatori di trombe d’aria, delle majare e delle donne pescatrici. Sull’isola ho acquistato poi un libricino che ne parlava e l’ho letto con grande curiosità.
La protagonista è una donna forte e vulnerabile allo stesso tempo. Quanto di questo personaggio trae ispirazione dalla realtà e quanto invece è frutto di fantasia?
Agata è ispirata ad una figura femminile realmente esistita, quella di Annuzza, una majara famosissima a Lipari. Ho tratto spunto non tanto dalla sua storia personale, quanto dai poteri da lei posseduti. Questa donna, stando ai suoi racconti, era stata presa da Eolo e per questo era dotata di poteri magici che contraddistinguono le majare di tutti i tempi. Tutto il resto è frutto della mia fantasia.
Quella di Agata non è solo una storia personale, ma è anche quella della piccola comunità siciliana presente a Lipari. Qual è ruolo di quest’isola nel romanzo?
Lipari in realtà è proprio uno dei personaggi del romanzo. Non è solamente lo sfondo in cui si svolgono le vicende raccontate. Lipari è viva e reale, palpitante, animata dagli elementi naturali, sferzata dal vento o dalle correnti. Nel mio immaginario, quindi, l’ho concepita come parte della platea dei vari personaggi del libro.
Cosa spera che rimanga al lettore dopo aver letto questa storia?
Innanzi tutto, è la sensazione di aver letto una storia antica riportata alla memoria. Oggi corriamo il rischio, con questa accelerazione che stiamo subendo, di dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Io ci tenevo a ridare vita e a fissare su carta questa vicenda che, quando vado alle varie presentazioni, riesce a portare indietro nel tempo i presenti. Puntualmente, le persone mi dicono di aver fatto loro ricordare la nonna, la zia o la vicina di casa che toglievano il malocchio o pronunciavano orazioni. Tutti si commuovono e ripensano con grande affetto a quei momenti erroneamente considerati solo come atti di superstizione o frutto dell’ignoranza. L’utilizzo di queste pratiche invece era un modo bello e particolare di prendersi cura degli altri. Di mantenere il senso di comunità, dove si faceva del bene a fin di bene, senza scopo di lucro, per essere presenti nel momento del bisogno.
Mi piace l’idea che tutto questo rimanga nella memoria accompagnato anche da un alone di malinconia.
Recensione e intervista a cura di Lella Sansone, scrittrice, docente e promotrice culturale.