Recensione “Se il ciel vorrà che un dì ancor noi ci si incontri” – Recensioni libri

SE IL CIEL VORRA’ CHE UN DI’ ANCOR NOI CI SI INCONTRI” 

di Roberto Badini

(Edizioni Albatros -IL Filo)

Questo è sicuramente un libro particolare e impegnativo, lo dico subito, rivolto sia a coloro che leggono per il solo piacere di leggere, sia a quelli che non si accontenta facilmente e che gradiscono fare della lettura non soltanto un passatempo, ma anche uno strumento per arricchire il proprio bagaglio culturale.

DI COSA PARLA

Il racconto si sviluppa negli anni 1373 e 1374, ovvero nel periodo storico immediatamente precedente al ritorno del papa a Roma dopo quasi 70 anni di “cattività avignonese”.

Il protagonista Adelmo da Siena (personaggio di fantasia) è un menestrello di 24 anni che, rinchiuso dentro una angusta cella di un carcere e resosi conto che la solitudine lo sta portando alla pazzia, ottiene l’ occorrente per scrivere. Decide così di narrare a se stesso la vita passata e gli eventi che lo hanno ridotto prigioniero, così da fissare sulla pergamena i ricordi.

Il racconto si divide in tre parti: nella prima parte, essenzialmente descrittiva, il protagonista narra di un viaggio compiuto per recapitare due lettere in due abbazie benedettine a seguito dell’in-carico affidatogli dall’abate del convento nel quale egli da giovane era stato novizio. Nel tragitto si perde in una foresta e, in modo fortuito, trova una caverna nella quale vive una fanciulla il cui padre si dedicava alla medicina e a pratiche non ben viste dalla chiesa e che per questo era stato condannato al rogo con l’accusa di stregoneria. La ragazza allora aveva deciso di ritirarsi dal mondo e vivere in completa solitudine, per continuare i culti e le pratiche del padre. Il loro incontro è breve; per il resto il racconto prosegue narrando del viaggio.

Nella seconda parte il protagonista si ritrova a visitare in pochi giorni i luoghi della città nei quali si era svolta fino a quel momento la sua vita. Dal convento di suore dove orfano crebbe da fanciullo al convento benedettino dove entrò novizio all’età di dodici anni: in quella occasione, riconsegnato il cavallo con il quale aveva svolto la missione narrata nella prima parte, si confessa ed ha importanti conversazioni con alcuni monaci. Quindi si reca presso l’abitazione di un artigiano liutaio e falegname dove aveva iniziato a lavorare abbandonato il saio di novizio e racconta del rapporto leale con l’uomo e di come perse la sua verginità. Infine si reca presso una nobile famiglia senese dove aveva lavorato come musicante, ambasciatore e scrivano. Fra messer Francesco Salvani ed il protagonista si instaurerà una sincera amicizia che durerà fino alla morte del nobile che, prima di morire, farà dono a Adelmo di uno scrigno contenente 397 fiorini d’ oro. Pochi giorni dopo le esequie del nobile amico ghibellino il protagonista, che ha sempre nei suoi pensieri la fanciulla della grotta, ripartirà per incontrarla di nuovo.

Ed ecco che nella terza parte i due ragazzi si rincontrano. L’ amore sboccia nonostante lui sia cristiano e lei dedita a pratiche esoteriche e culti pagani. Dopo qualche mese vissuto felicemente vengono catturati e processati da un tribunale dell’inquisizione che li ritiene rei di aver praticato atti di negromanzia che avrebbero provocato morìe di bestiame nelle contrade circostanti. Così la fanciulla viene condannata al rogo e lui, grazie anche all’intercessione dell’abate del convento dove in età giovanile era stato novizio, condannato al carcere. Il processo si protrae ma, grazie alle proprie nozioni, Adelmo riesce per un po’ a tenere testa al collegio che lo inquisisce ma poi, sconfortato dalla morte dell’amata e sfinito dalla carcerazione e dalle torture, offende pesantemente uno dei suoi inquisitori che lo condanna subito al carcere a tempo indeterminato.

Il romanzo è inoltre corredato da dieci canzoni cantate dal protagonista (delle quali l’autore ha scritto sia testi che musiche) e da alcune poesie, tutte inedite.

COSA NE PENSO

La prima cosa che si nota in questo romanzo, che narra le travagliate vicende di un menestrello e di una fanciulla dedita a rituali dimenticati ispirati al culto della natura e per questo costretta a nascondersi sul Monte Amiata, è la fedele ricostruzione del periodo storico. Ogni dettaglio è stato curato in modo rigoroso, grazie anche all’aiuto di due docenti universitari e di altre persone che hanno approfondite conoscenze sul Medioevo. L’autore, fra l’altro, ha integrato con alcune note (cosa che di consuetudine nei romanzi non si fa) quei passaggi che, a suo avviso, necessitavano di chiarimenti o di spiegazioni più approfondite. La storia alterna momenti giocondi e vicende tormentate, toccando talvolta argomenti filosofici e teologici complessi che però, devo dire, vengono bene contestualizzati. La parte centrale del romanzo è forse quella più lenta, ma preziosa e propedeutica all’ultima che catapulta chi legge nel cuore di in una vicenda originale ed emozionante sotto vari punti di vista. Mi è piaciuto molto il rapporto amoroso e spirituale, di complicità assoluta, tra i due giovani, nonostante i differenti credi e le differenti visioni della vita e dell’Universo. E’ proprio da queste diversità, che appaiono quasi inconciliabili, che si originerà un percorso che porterà ad elevare la spiritualità di entrambi. Un altro aspetto particolare di questo romanzo è il linguaggio usato, cioè quello tipico del trecento che all’inizio può creare qualche problema, ma che poi si rivelerà perfettamente comprensibile anche oggi. Leggendo questa storia il lettore quindi, grazie al linguaggio e al contesto storico sapientemente ricostruito, farà davvero un salto indietro nel tempo…

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1 Comment

  1. Gigliola Giovani 20 August 2013
    Rispondi

    Stupendo! Quale altro aggettivo si può usare per descrivere il romanzo scritto
    da Roberto Badini? Stupendo e basta!
    Una storia affascinante, coinvolgente, che mi ha risucchiata in un tempo
    passato, (quello di fine ‘300), dove un giovane menestrello e una fanciulla di
    umili origini vivono un profondo amore, ma non solo: bellissimo è il confronto
    tra la fede cristiana di lui, che da ragazzo è stato novizio in un monastero
    benedettino, e la visione pagana di lei, che venera la Grande Madre e pratica
    culti che si rifanno agli aruspici etruschi. Un confronto che non diventa mai
    scontro, ma che fortifica il legame sentimentale dei due, traducendosi in un
    percorso spirituale che li coinvolge entrambi.
    Con estrema semplicità l’ autore ha saputo toccare argomenti dal profondo
    significato teologico e filosofico, tendenti ad affrontare i grandi quesiti
    sull’ universo, sul fine della vita, sul perché di tante cose e così via. Il
    romanzo è scritto in un italiano un po’ medioevale, ma risulta perfettamente
    comprensibile, scorrevole e piacevole alla lettura. Soprattutto mi è piaciuto
    l’ uso che l’ autore fa di termini desueti che ho sentito spesso usare dai
    nostri anziani; e bello è l’ alternarsi di parti gioconde, che non hanno
    mancato di farmi fare qualche risata, alle parti tristi e talvolta drammatiche,
    che mi hanno commossa e mi hanno lasciato addosso un velo di tristezza. E poi
    le accurate ricostruzioni storiche, arricchite da note e citazioni di passi
    della Bibbia, della Divina Commedia, di bolle papali e di editti imperiali, le
    frasi in latino (anche queste tradotte in nota) che il protagonista maschile
    usa con alcuni monaci e con il collegio degli inquisitori che lo sottopone ad
    un estenuante processo e alla tortura.
    Bellissime sono poi anche le poesie e le canzoni del giovane menestrello
    protagonista che l’ autore introduce nella narrazione, tutte scritte in
    italiano antico e in rima, e che fanno da contorno alla avvincente narrazione.
    Un libro che mi ha arricchita, sia per i contenuti storici che per i profondi
    contenuti spirituali, e che consiglio di leggere a chiunque.

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