‘Lui per lei’ di Ernesto Masina: struggente atto d’amore

‘Lui per lei’ di Ernesto Masina: struggente atto d’amore


Lui per lei

di Ernesto Masina

(2023, NeP edizioni)


Chi è Ernesto Masina

Ernesto Masina è nato nel 1935 in Africa da padre fiorentino e madre bresciana. Vive a Varese ed è pensionato.
Durante la giovinezza, ha viaggiato a lungo insieme ai fratelli (tra cui il giornalista Rai Ettore Masina), seguendo il padre – ufficiale dei carabinieri – negli spostamenti per servizio. Ha svolto diverse attività lavorative, in Italia e all’estero, prima di ricoprire il ruolo di direttore commerciale per una grande azienda chimica. Appassionato d’arte, è approdato alla scrittura in età avanzata, ma con buon successo.

Il suo primo romanzo L’orto fascista uscito nel 2013 ha ricevuto ottime recensioni e i giornalisti del gruppo La Stampa lo hanno collocato nel sito Lo Scaffale, dove vengono ospitati i romanzi che non dovrebbero mancare in ogni biblioteca familiare. È stato paragonato al ‘miglior’ Vitali e a Piero Chiara. Particolarmente amato dai lettori è il personaggio di don Arlocchi, protagonista di molti dei suoi racconti già editi e in lavorazione. Lui per lei, è la sua ultima fatica.

Di cosa parla il libro

Il libro è un racconto autobiografico lungo: 60 pagine che contengono un concentrato di amore e tenerezza. Quello di un uomo verso la propria compagna, giunta agli ultimi giorni di vita. Lui per lei, come, appunto, recita il titolo. Mentre lei, Letizia, giace in un letto d’ospedale, lui, Ernesto, ricorda, le parla, racconta. Il protagonista di queste pagine è il loro amore. Un sentimento che si snoda dal primo incontro a scuola, poco più che ragazzi, attraverso il matrimonio, la nascita delle figlie, i viaggi, i momenti belli e quelli brutti, le tensioni e la complicità che sempre torna a portare pace e rendere la coppia più unita e vicina.

 

Ernesto si rivolge direttamente a Letizia, ma il dialogo è in realtà un monologo, lei non può sentirlo o se lo sente non è in grado di rispondere. Ma lui, prima che la morte giunga a separarli per sempre, ha bisogno di ricordare il loro percorso insieme durato 62 anni e 4 giorni.

 

Sai, ho sempre pensato che la capacità di amare si acquisisca con la nascita. Apprezzare le persone, la natura, l’arte è una cosa che si può imparare con l’educazione. Come il rispetto. L’affetto a volte è una reazione a qualche benevolenza ricevuta, altre un fatto spontaneo, una comunanza di sentimenti che le a due o più persone. L’amore, invece, è un’altra cosa. O meglio: tutte queste cose insieme”, scrive.

Cosa ne penso

Chiunque abbia perduto una persona cara, che abbia vissuto il distacco, un figlio che vede invecchiare i genitori, fino all’inevitabile scomparsa di uno dei due, non può non riconoscersi nelle parole di Ernesto per Letizia. Ho letto le 63 pagine del racconto due volte, tanta è stata la tenerezza e la partecipazione che mi hanno suscitato. Dalle due poesie iniziali che l’autore dedica alla sua donna, fino dall’immagine di quel piumone matrimoniale acquistato dalla coppia durante una vacanza felice in montagna e ora abbandonato da una parte, fuori posto. Inattesa e improvvisa – me è proprio così che accade – questa vista frantuma il diaframma dei ricordi che escono come un fiume e si depositano sulla carta.

Ernesto scrive il suo monologo oscillando tra due diversi piani temporali: i frammenti dei loro oltre 60 anni insieme e il presente fatto di un letto d’ospedale, intorno al quale si raccoglie con le due figlie, in attesa dell’inevitabile, mentre Letizia è già altrove. Alla fine, scrive, ‘ho smesso anche di chiedere ai medici’. Sa che il destino sta per compiersi.
Questa consapevolezza lo porta a ricordare – e poi scrivere – tanti momenti di vita più o meno lontani nel tempo, introdotti da un ti ricordi?, rivolto direttamente alla compagna.

Il racconto scorre senza un ordine cronologico, le vacanze, la nascita delle figlie, il viaggio di nozze in Spagna, la gioia di diventare genitori e l’impegno di essere nonni, ma anche la narrazione impietosa e sincera dei difetti dell’uno e dell’altra. Lui a volte insofferente, lei chiusa e poco sicura di sé, più aperta agli altri che a se stessa. Ernesto non vuole tacerli perché hanno fatto parte della loro vita e del loro amore, che non è stato tutto rose e fiori. Come succede in ogni coppia.

Frammenti di vita normale, che ogni tanto si fermano per tornare al presente: ‘Oggi i medici dicono che stai meglio, il tuo viso a ripreso colore’, ‘ti guardo e mi rendo conto che non hai più voglia di lottare’. Ernesto non vuole lasciarla andare via. “Quante volte ti ho abbracciato durante i sessantadue anni del nostro matrimonio? Tantissime, ma adesso mi sembra non abbastanza”.
Nel racconto della malattia che ha minato il corpo di Letizia e ne ha ridotto l’autosufficienza c’è tutta la tenerezza di un uomo che si prende cura della sua donna come una bambina. E lei per contro non vuole altro che lui a prendersi cura del suo corpo, abbattendo ogni pudore, anche quello che per certi aspetti resiste in 60 anni di vita insieme. Ma così deve essere, perché amarsi è prendersi cura l’uno dell’altra.

Lui per lei  è, dunque, uno struggente atto d’amore, scritto senza sbavature, scorrevole, perfetto nella scelta delle parole, nella sintassi semplice e precisa, che non scade mai nella retorica.

Un libro sincero e una lettura ‘importante’, di quelle che fanno riflettere, che si legge tutta d’un fiato partecipando alla gioia e al dolore. Sembra di vederlo Ernesto al capezzale della sua Letizia che le tiene la mano e le parla, perché solo così può affrontare quel distacco a cui non si è mai preparati.

Ernesto con coraggio prova a pensare alla sua vita dopo di lei. ‘Devo imparare a vivere alla giornata – scrive – alla mia età è meglio. Sono fortunato; tutti dicono che porto bene i miei anni e forse è vero. E poi ho la tua compagnia, ancora sono sicuro di averla’.
Quando quella compagnia viene meno, il finale è struggente. Toglie la speranza, ma apre a un sentimento nuovo e diverso: la certezza di ritrovarsi in qualche forma, da qualche parte.

La notte in cui mi hai lasciato ho sognato che eravamo ancora a Serdes. Era una splendida giornata d’estate. Bambini, forse i nostri nipoti, si inseguivano giocando nel piazzale davanti alla chiesetta e all’albergo che ci aveva ospitato quando eravamo giovani. Facevano chiasso e ridevano felici, come sarebbe giusto che facessero tutti i bambini del mondo. Mi davi le spalle e non riuscivo a vedere l’espressione del tuo viso che comunque, sono certo, era serena. Poi improvvisamente ti giravi verso di me. Il tuo profilo rimaneva comunque protetto dai capelli, ancora castano scuro. Mi dicevi: «Dai, vieni. Cosa resti a fare lì?». Già, infatti: cosa resto a fare qui?’


Recensione a cura di Lina Senserini, docente e giornalista.


 

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