‘Il cantiere’ di Nicola Brizio, riflettendo sull’attualità

‘Il cantiere’ di Nicola Brizio, riflettendo sull’attualità


Il cantiere

di Nicola Brizio

(2025, Golem Edizioni)


Nicola Brizio è nato nella terra dello scrittore Beppe Fenoglio, cresciuto nella città di Bra (CN) dove lo scrittore Giovanni Arpino ha ambientato la maggior parte dei suoi romanzi. Ha pubblicato diversi racconti sulla rivista La Nuova Carne, ha curato le sceneggiature dei cortometraggi realizzati dal collettivo Utopia Underground film.

Dal 2019 conduce Radical Nik su Radio BraOnTheRocks oltre ad essere l’autore della raccolta di racconti Interurbane notturne e dei romanzi Fame plastica, L’ossessione della forma, Michele antagonista e Il cantiere, uscito da poco per Golem Edizioni.


Come è il suo processo di scrittura?

“Penso di essere lo scrittore più incostante, disordinato e altalenante di sempre. Scrivo quando riesco, quando sento che c’è qualcosa che deve uscire. Quando ho abbastanza appunti da mettere insieme. O quando sono particolarmente ispirato da una o due parole e penso sia il caso di costruirci attorno una frase o qualcosa di più. Ultimamente in realtà non c’è nessun processo, perché può anche essere che non scriva più, la mia pur spiccata fantasia non riesce a star dietro alle stranezze della realtà e il giochino potrebbe essersi rotto”.

Quali sono state le fonti di ispirazioni per la stesura del suo libro?

“Il mondo. Intendo tutto il mondo, quello che incontro fuori di casa quando esco oppure quello del quale abbiamo notizia tramite i giornali. Siamo in un momento tragico e, proprio per questo, fortemente letterario. Osservare, osservare, osservare. Non c’è bisogno d’altro. Nemmeno di grande fantasia, come dicevo”.

Nicola Brizio

L’ambientazione distopica del suo libro, è frutto della sua fantasia oppure rappresenta il rischio che corre la società di oggi?

“A me sembra pericolosamente vicina alla realtà, ma non alla realtà che ci aspetta tra 50 anni, alla realtà di dopodomani. Siamo una manica di vanitosi atomizzati, strafatti di egocentrismo e in overdose di noi stessi.

Al famigerato e wahroliano quarto d’ora di notorietà noi abbiamo preferito una vita di finzione per poterci illudere che alla fine eravamo riusciti ad essere davvero speciali come ci avevano raccontato mamma e papà”.

Ci dica qualcosa sulla trama…

“Vorrei dire che è complessa, ma non voglio sembrare presuntuoso. Ci sono tanti personaggi, questo sì, e le loro storie si intrecciano, si toccano, a volte si sfiorano soltanto. Ognuno è alle prese con un dramma, come tutti noi d’altronde”.

Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del suo libro?

“Molte delle storie erano già nella mia testa da un po’. Per quanto riguarda la stesura e la revisione direi a occhio e croce 3 anni, ma non sono mai troppo attento ai tempi quando si parla dei miei libri e non solo in fase di stesura. Una volta pubblicati, ad esempio, li accantono e cerco di dimenticarmene”.

Secondo lei, quale potrebbe essere la colonna sonora adatta per questa storia?

“Potrei dirti The end dei Doors perché il dopodomani al quale accennavo prima assomiglia veramente a come ho sempre immaginato la fine. Un’altro titolo azzeccato potrebbe essere È finita la pace di Marracash, perché credo che sia un concetto che ormai ha fatto breccia nell’ inconscio anche del più superficiale di noi. Oppure ancora Perfect day di Lou Reed, perché quando la letteratura riesce a fotografare un momento storico, anche terribile come questo, allora in quel momento è davvero riuscita a far ciò per cui qualcuno millenni fa l’ha inventata, e dunque quello diventa davvero un giorno da festeggiare”.


Intervista realizzata da Fausto Bailo, promotore culturale


 

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