Recensione “Berta di Toscana” di Vincenzo Moneta – Recensioni libri

DI COSA PARLA

Berta di Lotaringia, figlia del re Lotario II, pronipote di Carlo Magno, contessa di Arles e marchesa di Toscana, fino a ieri, era una lapide dimenticata nel Duomo di San Martino a Lucca. Con questo libro, l’autore ne racconta la vita e le gesta documentando e argomentando con precisione storico-scientifica. E ne viene fuori una figura estremamente attiva, autonoma, intraprendente, insomma una donna molto poco “medievale” ma piuttosto moderna che, pur lontana nel tempo, può essere un riferimento per le donne di oggi. Berta non aveva paura di mettersi allo stesso livello dei massimi esponenti politici del suo tempo e non aveva alcun timore verso l’autorità costituita. Le sue ambizioni; l’influenza che ebbe sulla città di Lucca e dunque su Roma, Aquisgrana, Bisanzio, Bagdad, Cordoba; il potere che esercitò sull’elezione dei papi ne fanno una donna unica, figlia di un tempo che poi non è così distante dal nostro.

RECENSIONE

La storia della città di Lucca presenta legami multiformi con l’Islam e l’Oriente musulmano. Le fonti storiche narrano, ad esempio, numerosi aneddoti sui lucchesi che hanno partecipato attivamente, in vario modo ed in varie epoche, alle Crociate. Ma, secoli più tardi, Lucca ha anche dato i natali all’autore della prima traduzione integrale e commentata del Corano in latino, Ludovico Marracci (1612-1700). Da questo punto di vista, la nostra città incarna vividamente il rapporto ambivalente che lega da sempre l’Occidente cristiano con il mondo islamico, fatto per un verso di tensioni militari e di scontri dogmatici, ma intessuto per un altro verso di scambi culturali pacifici e produttivi. Il bel libro di Vincenzo Moneta si incentra su un personaggio, sepolto nella cattedrale di San Martino e quindi legato indissolubilmente con la città di Lucca, che si propone come caso intermedio rispetto ai due estremi accennati sopra, riassumendoli in sé e, per così dire, trascendendoli. La protagonista è una donna, Berta di Lotaringia, dapprima contessa di Arles e poi marchesa di Toscana (863925). Berta discende geograficamente e dinasticamente dalla Francia dell’Alto Medioevo (è pronipote di Carlo Magno) e si trova, per lignaggio ed estrazione sociale, al centro di vicende politiche e rapporti diplomatici che la portano in contatto con il califfato di Baghdad, in particolare con il califfo ʿabbāside al-Muktafī (reg. 902-908). È significativo però che l’interazione tra Berta ed il califfo si svolga in un clima positivo ed in un’ottica di collaborazione. L’intento dell’ambasceria inviata da Berta a Baghdad era, a quanto pare, ostacolare, per mezzo dell’autorità del califfo, le scorrerie saracene nel Mar Tirreno, o forse coordinare un’azione comune per la conquista dei territori bizantini dell’Italia meridionale: comunque stiano effettivamente le cose, grazie a questa iniziativa Berta assurge ad emblema di un modo di fare politica che recepisce le istanze di dialogo costruttivo proprie degli scambi culturali tra Occidente ed Oriente, che proprio allora iniziavano, e che, invece di erigere “muri”, getta “ponti” tra due imperi ispirati a religioni diverse, lontani nello spazio, e – a partite dalla battaglia di Poitiers (732) – militarmente rivali. Un altro grande motivo di interesse suscitato dalla figura di Berta di Toscana è il suo essere icona di un tipo di donna estremamente attiva, autonoma ed intraprendente, in altre parole, una donna molto poco “medievale”, secondo il nostro modo comune di concepire il Medioevo: Berta è una nobile che si colloca inter pares tra i massimi esponenti della politica del suo tempo e che non ha timori reverenziali nei confronti di alcuna autorità costituita. Mutatis mutandis e trasferendoci in un contesto storico del tutto diverso, viene alla mente un’altra figura di donna di poco posteriore a Berta, Ildegarda di Bingen (1098-1179), mistica e naturalista tedesca da poco proclamata dottore della Chiesa, di cui la Biblioteca Statale di Lucca conserva l’unica copia superstite del Liber divinorum operum. Da questi due punti di vista (una politica aperta alla diversità ed al confronto, ed un’alta considerazione di se stessa e delle proprie prerogative e potenzialità di donna) il libro di Moneta ci propone un insegnamento e ci lancia un appello quanto mai attuale.

Vincenzo Moneta ha il grande merito di dare giusta importanza al rapporto di Berta con il califfo ʿabbāside, di solito affrontato conclusivamente e trattato brevemente (per non dire sbrigativamente) negli studi relativi a Berta, cercando di distinguere ciò che in questo episodio è storicamente certo dagli elementi accessori, meno attinenti ai fatti e scaturiti forse da riletture successive. Gli studiosi infatti hanno sempre avvertito come problematica “l’ingenua vanteria della marchesa, che si proclamava tranquillamente regina di tutto l’Occidente e nientemeno che sovrana di ben ventiquattro regni. È un tratto, questo, che sottolinea la personalità di questa donna: forse megalomania, forse un alto sentimento di sé e delle proprie capacità politiche o forse addirittura incoscienza, ma che certo è un aspetto caratteristico” del periodo storico in cui ella ha vissuto (dalla voce “Berta di Toscana” in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 9, 1967). Moneta si cimenta con questa difficile questione ed offre al lettore validi ed interessanti spunti di soluzione. Più in generale, in questo libro egli collega lo sforzo di ricerca storica all’impegno di divulgazione, ed associa all’attenta riflessione sulle fonti disponibili e all’esame della letteratura critica esistente un abbondante materiale iconografico e fotografico, in linea con il modo innovativo di fare cultura caratteristico dell’autore. Il libro si rivolge dunque ad un’ampia gamma di lettori e a destinatari con competenze diverse, che beneficeranno tutti della mole di informazioni che Moneta propone e delle sue stimolanti riflessioni, e che non potranno non apprezzare il modo diretto, sentito e brillante della sua esposizione.

 Amos Bertolacci

Sito dell’autore:  http://www.vincenzomoneta.com

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4 Comments

  1. Raffaele Savigni 5 July 2013
    Rispondi

    V. Moneta, Berta di Toscana, Pisa 2013
    Il volume che oggi presentiamo, indirizzato non agli specialisti di storia ma ad un pubblico più vasto, è opera non di uno storico di professione ma di un intellettuale curioso, che è stato sollecitato a scriverlo tanto dal suo profondo interesse per i rapporti tra culture diverse quanto dalla volontà di suscitare nei lucchesi una riscoperta del passato anche remoto della propria città, e quindi di figure come Berta, il cui epitaffio, conservato nella cattedrale di Lucca, non sembra essere noto a molti dei nostri concittadini.
    Esso offre due principali nuclei di interesse, che si ricollegano a tematiche sulle quali l’attuale storiografia medievistica, che ha superato da tempo l’immagine del Medioevo come “secoli bui”, ha attirato l’attenzione. Il primo di essi riguarda l’evoluzione del ruolo sociale e dell’immagine della donna, che troppo spesso giudichiamo appiattita nei termini di un antifemminismo di lunga durata. Gli studi degli ultimi decenni hanno evidenziato il protagonismo femminile dell’Alto Medioevo, di cui sono espressione come Berta ma anche Ageltrude di Benevento sposa di Guido di Spoleto), le nobildonne romane oggetto della polemica di Liutprando di Cremona, Matilde di Canossa, Adelaide del Piemonte. Non tutto il Medioevo è riconducibile al “Medioevo maschio” di cui parlava Georges Duby: prima dell’affermarsi, a partire dal secolo XI, dell’aristocrazia patrilineare le donne aristocratiche e la linea di parentela femminile svolgevano un ruolo importante sul piano economico (attraverso il meccanismo delle doti e l’educazione dei figli) ed anche politico. Una prima domanda può essere questa: in quale modo, tenendo conto naturalmente dei profondi cambiamenti culturali avvenuti nel secondo millennio nelle strutture familiari e nell’organizzazione del potere, la riscoperta di Berta può aiutarci a valorizzare un protagonismo femminile in termini non individualistici?
    Le fonti presentano l’immagine di una Berta che non è una semplice comparsa di fronte al marito Adalberto II: ella appare capace di suggerirgli linee politiche e di assumere poi iniziative autonome, in una fase storica in cui Lucca è il centro politico della marca di Tuscia (caput Tusciae), e sa muoversi sulla scena internazionale, come dichiara l’epitaffio, che mostra l’intera Europa in lutto per la sua morte. Di qui un secondo motivo di interesse per questa singolare figura: una Lucca non ripiegata su se stessa (come avverrà per larga parte dell’età moderna e contemporanea) ma protagonista attiva sulla scena politica internazionale, oltre che in una Toscana non ancora incentrata su Firenze. Un elemento, quest’ultimo, che potrebbe offrirci qualche spunto di riflessione anche sull’oggi: come aiutare Lucca e i Lucchesi a superare una visione talora un po’ angusta della propria cittù e del proprio futuro? Forse anche ricordando che questo ripiegamento è stato favorito sia dalla rottura religiosa del secolo XVI sia dal timore di perdere l’indipendenza politica a causa della pressione politica esercitata dal granducato di Firenze; e recuperando una parte di storia che è stata troppo a lungo dimenticata o relegata ai margini della memoria collettiva. Questa parte di storia sinora non abbastanza valorizzata comprende la presenza islamica (ed ebraica) nel Mediterraneo, Bisanzio, il regno italico indipendente prima dell’Impero degli Ottoni (della cui prospettiva ideologica il cronista Liutprando è il portavoce) ed anche un protagonismo femminile.
    Il secondo nucleo di interesse coinvolge quindi i rapporti tra l’Europa occidentale e l’Islam. Nei secoli IX-X tra cristiani d’Europa e musulmani ci furono scontri (come la battaglia del 915 sul Garigliano, terminata con la sconfitta dei saraceni che vi si erano insediati trent’anni prima), ma anche episodi di connivenza, per motivi di interesse commerciale: in particolare le città di Napoli, Amalfi, Gaeta commerciavano frequentemente coi Saraceni, nonostante il papa condannasse l’impium foedus l’empia alleanza) e vietasse, minacciando la scomunica, di vendere ai musulmani ferro e legname, in quanto sarebbero stati utilizzati o per combattere i cristiani. L’iniziativa di Berta sembra collocarsi su un piano in parte diverso, in quanto riflette un interesse anche culturale per un mondo “altro”.
    Ritieni che episodi come questi possano aiutarci in qualche modo a pensare più in grande e ad elaborare prospettive polico-culturali che ci rendano capaci non di subire con rassegnazione, ma di governare i processi migratori e di interazione tra diverse componenti culturali e religiose?
    Infine un ringraziamento all’autore per i numerosi spunti di riflessione che offre ed un augurio che libri come questo possano aiutarci a superare definitivamente anche nell’immaginario della gente comune, quegli stereotipi negativi sul Medioevo che sono ancora troppo diffusi anche tra giornalisti ed operatori del mondo della comunicazione. Almeno sotto certi aspetti alcuni uomini e donne dell’Alto Medioevo avevano uno sguardo più ampio di tanti nostri contemporanei. Condividi questa mia osservazione?
    RAFFAELE SAVIGNI

  2. dianora tinti 5 July 2013
    Rispondi

    Ringrazio Raffaele Savigni (fra le altre, tantissime cose, professore di storia medioevale) per la puntuale, artcolata ed interessantissima recensione. Fra l’altro, sono completamente d’accordo con lui sul fatto che quando si parla di Medio Evo è necessario sfatare molti luoghi comuni. Non è stato assolutamente un periodo “buio”, come spesso viene ancora definito, ma un momento storico capace di rispondere all’esigenza attualissima di risalire alla genesi di molte delle grandi questioni che caratterizzano il presente. Proprio il Medioevo, ad esempio, ha posto le basi per la nascita degli stati europei di oggi.

  3. dianora tinti 5 July 2013
    Rispondi

    Nell’ambito di questa bella discussione sul romanzo , e per i più curiosi, mi è sembrato un valore aggiunto riportare la prefazione di Alberto Nigi. Eccola:

    È prassi comune che all’inizio di un libro venga collocata la Prefazione. Tuttavia, seguendo le orme del compianto professore Mauro Laeng, non intendo affermare che ogni Prefazione paghi l’obolo al rito o sia una scontata conferma alle tesi dell’Autore.

    Dunque, ciò che vado a scrivere non è (e non deve essere) una classica Prefazione.

    Lascio a ben più alte penne l’ardo compito! Se mai, da parte mia, scrivo poche righe di memoria, ammirazione e buon augurio.

    L’imbarazzo è nella scelta. Dove porre l’accento, su Berta o su Vincenzo Moneta?

    Il legame forma un amalgama ormai così compatto da risultare inscindibile.

    Il fatto è che conosco Berta grazie all’Autore e conosco l’Autore dai primi anni Ottanta.

    In quel tempo nacque, a prima vista, una duratura, sincera e robusta amicizia, fondata sulla stima e il riconoscimento di doti umane ed artistiche speciali.

    Scorsi subito in Vincenzo Moneta il talento emergente: una sorta di mago dell’immagine, dei suoi simbolismi e dei suoi linguaggi, un personaggio originale che portava in sé il genio della regia e dello spettacolo vivente.

    Vidi in lui la figura dello studioso sui generis, capace di penetrare la storia, di metabolizzare il medioevo e farlo vibrare nelle sue estroverse e suggestive rappresentazioni.

    Tuttavia, ciò che caratterizza l’Autore non è soltanto il naturale genio artistico, bensì anche l’amore per le culture alternative e la sensibilità verso i popoli orientali.

    Sono ben noti il suo apprezzamento per le tradizioni e le religioni in termini cosmopolitici, il suo trasporto e la sincera attenzione nei confronti degli umili, degli anziani e dei diseredati di questa nostra società.

    Con immenso piacere ed onore, nel maggio nel 1998, fui chiamato al Salone degli Specchi di Palazzo Orsetti del Comune di Lucca per presentare il suo libro “La vita sta”, un messaggio fatto di messaggi scavati nell’anima di mille voci. Anche questa è un’opera che si muove con la storia e la storia non è semplicemente ciò che fluisce dall’ieri al domani, ma ciò che unisce l’ieri al domani.

    Un fiore all’occhiello è la sua preoccupazione per i problemi della donna, vista nei suoi profondi valori e significati attuali e storici.

    Dunque, che dire di Berta, un personaggio storico femminile eccezionale al quale, però, gli studiosi hanno sempre indebitamente riservato piccoli spazi?

    La Contessa Berta, donna colta e raffinata, madre amorosa, esempio di abilità diplomatica e saggezza amministrativa, è ardentemente ricordata con distici elegiaci nel Duomo di San Martino a Lucca in una lapide tombale.

    Ricordata e dimenticata… Contraddizione in termini?

    Il giorno 8 marzo 925, Berta lasciò questo mondo nelle mani del Signore… Oggi, nelle mani di Vincenzo Moneta ella è resuscitata per raccontare agli uomini, in termini moderni, ciò che già disse e operò anticamente nel basso medioevo.

    La storia muta nei suoi scenari, orchestrati dal signore del tempo, ma la metastoria dove il tempo è infinito, conserva lo spirito dell’essere puro, la verità di quell’essenza che sta nel fondo della matrice umana e non muta al mutare delle cose.

    Berta è una donna che ha saputo vivere la pienezza del suo tempo con grande spirito realistico, ma anche con la mente carica d’immaginazione, proiettata al di là dell’orizzonte del tempo… Una vicenda umana d’ampio respiro.

    La regalità della sovrana e l’umiltà della madre premurosa mai si sono lasciate piegare, neppure nella sorte avversa. Tipico l’episodio del 920: imprigionata insieme al figlio Guido a Mantova da Berengario, preoccupato da tale avversaria, ella raccolse i frutti di un’astuta politica di compiacenze nei confronti di chi poteva sostenerla e ottenne la liberazione.

    Berta è un chiaro esempio di acuta e indomita personalità femminile, dall’intelligenza lungimirante, anticipatrice dei tempi. La sua straordinaria apertura, la sua abilità nella mediazione ne fanno una sovrana elastica nei rapporti diplomatici e nel contempo rigorosa nella ragion di stato, al punto da poterla considerare un’anticipatrice di fatto delle teorie politiche del Machiavelli.

    Da circa quindici anni, Vincenzo Moneta sta studiando e approfondendo la figura e il tempo di Berta, lottando per fa sì che un tale impegno possa essere apprezzato da un vasto pubblico.

    Oggi, finalmente, il suo lavoro è venuto alla luce. Giustamente e non a caso, questo libro è dedicato a coloro che non si arrendono …

    L’obiettivo è, ovviamente, quello di arricchire la cultura letteraria e storica, illuminare le tradizioni medievali e fornire spunti nuovi ed originali al mondo dell’arte e dello spettacolo.

    Tuttavia, l’intento dell’Autore si spinge più in là, verso aree assai importanti: l’impegno didattico.

    Sotto questo profilo, il suo lavoro mira a risvegliare negli studenti l’interesse per un mondo tanto sconosciuto quanto affascinante nei suoi risvolti più pittoreschi e intriganti.

    È importante esplorare le vicende che portano a conoscere le radici della nostra cultura, implicando la conoscenza di donne che hanno contribuito a costruire la nostra storia.

    Gli aspetti che sottolineano l’importanza del nostro personaggio femminile sono numerosi, come, ad esempio, il controllo della Via Francigena che ha permesso di esercitare influenza sull’incoronazione imperiale e sull’elezione del papa in Roma. Oppure il controllo dl mare e i rapporti diplomatici instaurati col Califfo di Baghdad, nell’ambito di una visione politica internazionale.

    Insomma, Berta ha, di fatto, influito sull’eredità di Carlo Magno e così il passato spiega il futuro.

    Le relazioni di Berta di Toscana con il resto d’Italia, d’Europa e del mondo Islamico ne fanno un personaggio ideale per la comprensione dell’Europa del Terzo Millennio.

    Il suo ruolo non soltanto politico, ma anche affettivo e psicologico dispiegato nelle dinamiche del suo tempo, va considerato uno degli aspetti può interessanti della presenza femminile nella storia.

    Grazie a Vincenzo Moneta, questa perla della nostra cultura storica non è rimasta rinchiusa nell’ostrica dell’indifferenza, criptata in una lapide mortuaria, scolpita in una lingua che solo pochi eletti, al giorno d’oggi, sono in grado d’intendere.

    Alberto Nigi.

  4. Alberto Nigiettronica: 7 July 2013
    Rispondi

    Fino a poco tempo fa non sapevo che avesse scritto un’opera così complessa e, al tempo stesso, interessante come Berta di Toscana. Infatti, quando mi ha mostrato le prime bozze dell’opera chiedendomi di fare una revisione, mi sono accorto subito della sua abilità, poiché, partendo dal microcosmo lucchese e da una donna che pochi lucchesi hanno sentito nominare, ha allargato gli orizzonti a tutta l’Italia (Roma ed il Papato, gli Imperatori, i Re ed i principali feudatari) alla Francia (Provenza e Borgogna), alla Germania (Aquisgrana), ecc. Quindi ha coinvolto tutto l’Oriente cristiano (Bizanzio) ed il mondo musulmano orientale ed occidentale (Baghdad e Cordoba). Inoltre ho ammirato la sua capacità di attualizzare anche alcuni aspetti della fine dell’Alto Medioevo.

    Tutta la vicenda principale ruota intorno ad un eccezionale personaggio (Berta di Toscana), che non è la sola presenza femminile d’eccezione del libro (vedi anche la figlia Ermengarda, Marozia, l’imperatrice Irene, ecc.). Essa era una donna di grande carattere, la quale non si è occupata soltanto della carriera dei due mariti, ma anche di quella dei figli maschi e delle femmine, per i quali ricorse anche ad un’abile politica matrimoniale, per stringere alleanze con i feudatari più potenti. (Vedi vari tipi di matrimoni).

    Berta, pur risiedendo a Lucca, che allora era a capo di un importante Marchesato, controllava le vie di comunicazione tra il nord ed il centro dell’Italia, in quanto possedeva il passo di Monte Bardone (l’attuale Cisa) e poteva, quindi, impedire anche a personaggi potenti (imperatori, re, grandi feudatari, ecc.) di raggiungere Roma per farsi incoronare. Si trattava della via Francigena o Romea, percorsa, oltre che dagli eserciti, anche da numerosi mercanti ed ancor più numerosi pellegrini.

    Inoltre la Marchesa visse in un periodo caratterizzato dalle invasioni degli Ungari, i quali periodicamente compivano scorrerie nell’Italia settentrionale ed in quella centrale; e dei Saraceni che avevano delle basi presso Gaeta ed a Frassineto (Monaco-Monecarlo). I primi riuscirono ad occupare e saccheggiare ferocemente la città di Pavia (ex-capitale del Regno longobardo) e giunsero anche a Lucca, dove intorno al 940 distrussero, per esempio, anche la chiesa di S. Pietro a Vico.

    Ma, oltre ad usare la forza e l’astuzia per imporsi o resistere in un’epoca di forti contrasti e veramente difficile (vedi, per esempio, l’accecamento di mariti e figli, potenziali rivali) e le continue guerre “civili” che dilaniavano l’Italia, Berta seppe ricorrere anche alla diplomazia, per stabilire accordi e raggiungere un equilibrio più stabile e duraturo nelle relazioni internazionali.
    Tra tutte le sue operazioni fa spicco il tentativo di stabilire rapporti di collaborazione con il capo degli “infedeli”, il Califfo di Baghad (al-Muktafi), l’uomo più potente del Vecchio Mondo, che poteva essere il suo più acerrimo nemico.

    Oltre a parlare di personaggi importanti, Vincenzo non ha dimenticato gli umili. Infatti, come molti noi, egli è di origine contadina e pertanto ha scelto come protagonista di un paragrafo Rospulo, il quale abitava a Torre, paese del Comune di Lucca situato in Valfreddana. Egli è vissuto tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo d. C., in un periodo caratterizzato dalla rinascita culturale, religiosa, giuridica, ma anche dal progresso agricolo, impressi da Carlo Magno. Il ricordo di questo contadino si deve a 2 pergamene dell’806 e dell’807, conservate nell’Archivio Storico Diocesano di Lucca. La 2a è un contratto, stipulato con prete Tamperto, rettore della chiesa del Signore e Salvatore (oggi della Misericordia) in base al quale si concedeva a Rospulo una casa a Torre, con prati, vigneti, oliveti, boschi, ecc., in cambio della metà del vino puro, del vinello, delle messi, della frutta, degli ortaggi, del fieno, dell’olio e delle ghiande. Vincenzo, poi, ricostruisce i vari lavori che il contadino doveva prestare nel corso dell’anno.
    Ma altri agricoltori avevano a che fare con molti padroni e dovevano coltivare moltissimi pezzi di campo, poiché c’era un notevolissimo frazionamento anche dei possedimenti più grandi degli enti religiosi e dei feudatari, e tenere la complessa contabilità di quanto dovevano ad essi.

    Ringrazio, infine, pubblicamente Vincenzo di avermi coinvolto nell’“Operazione Berta”, anche se ero già molto impegnato nei festeggiamenti del 50° dell’ITIS “E. Fermi”, per avermi fatto conoscere molti particolari di un periodo della nostra storia, poco trattato anche dagli studiosi professionisti, ma fatto rivivere con notevole partecipazione e vivacità nelle pagine del suo libro !

    Nicola Laganà

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