Intervista a Francesco Falconi – Scrittori italiani

Io che (fino ad ora!) non ero molto appassionata del genere, anche se leggo di tutto, mi sono imbattuta in Francesco Falconi per caso. Ma ormai ho capito che nella vita nulla accade senza un perché. La responsabilità è stata di sua sorella Federica, proprietaria di una delle più note librerie di Grosseto che mi stava aiutando ad organizzare la presentazione del mio nuovo romanzo. “Anche mio fratello scrive” mi dice indicandomi un bel volume sullo scaffale. “Si chiama Francesco ed ha pubblicato da poco “Muses. La decima musa” edito da Mondadori” – “Wowww… con la Mondadori…” rispondo sfogliando il romanzo che nel frattempo era caduto casualmente fra le mie mani.

Già la copertina mi incuriosiva… Da lì a chiedere un suo recapito per intervistarlo è stato un tutt’uno! Ma prima mi sono divorata questa storia fantastica, (ma non fantastica nel senso di fantastica, ma fantastica proprio nel senso di straordinaria!) questo romanzo inquietante, dove il confine tra fantasy e mistery è quasi invisibile e dove si percepisce forte l’alito della filosofia, e non solo! Si parla infatti di mitologia classica e più precisamente delle Muse, le figlie di Zeus e Mnemosine che simbolizzano gli strumenti del conoscere ed i sensi che ispirano ogni manifestazione del pensiero, dell’arte o della scienza. Strumenti che l’individuo usa per entrare in relazione con l’ambiente con cui viene a contatto e grazie ai quali acquista esperienza e consapevolezza riuscendo così ad espandere la propria coscienza. Ma si parla anche di altro, per esempio della solitudine e della sofferenza della protagonista, Alice, che è una ragazza difficile, ribelle, ai margini, ma proprio per questo o, forse, grazie a questo, una che ispira subito in chi legge simpatia e un certo senso di protezione… E poi l’eterna lotta tra bene e male, tra verità e menzogna. Insomma, Muses. La decima musa è sicuramente un libro che va oltre, che fa pensare e riflettere su tante cose… Ed allora non ci resta da dire altro se non che il successo di Francesco Falconi è veramente tutto meritato!

Che cosa significa per te essere scrittore?

Tempo fa su Panorama risposi con la seguente frase:«La scrittura non è un mestiere. Non è un hobby. Né una passione. È un’esigenza di cui non si può far a meno. Perché senza ti senti soffocare. E sai che è l’unico modo per liberare quella bestia che ti strangola. Se provi questo, allora vuol dire che hai una bella storia da raccontare.» Lo penso tutt’ora.

Quando hai sentito di essere stato morso per la prima volta dal talento della scrittura? Com’e’ nato il tuo primo romanzo?

Quando avevo 14 anni iniziai a scrivere Estasia, una serie fantasy per ragazzi. Avevo il desiderio di creare una storia tutta mia, con i miei personaggi e una trama che mi piacesse. Ho ripreso Estasia dopo l’università, l’ho riscritta e corretta, ed è stata la mia prima pubblicazione. Dal 2006 non sono più riuscito a smettere, tanto che Muses rappresenta il mio 13esimo romanzo.

Ogni scrittore ha una sua ritualità nello scrivere, qual’è la tua?

Scrivo in genere la sera. Mi chiudo nello studio con il mio cane, Virgola. Frutta e acqua. Scelgo una playlist su iTunes. Quando mi accingo a scrivere ho già chiara in mente la scena che andrò a narrare, perché l’ho già vissuta nella mia mente nelle ore precedenti.

Potresti descrivere il percorso della tua pubblicazione? Quali sono stati i momenti salienti e le complicazioni sulla strada?

Posso distinguere la mia carriere in due fasi. Pre e post Muses. Ho già raccontato di come è nata la serie Estasia, che mi ha permesso di riavvicinarmi alla scrittura. Poi ho deciso di sperimentare diversi generi, dallo young adults di Prodigium e Nemesis, alla fantascienza con Gothica, ai teenager con Evelyn Starr, alla biografia di Madonna. Quindi ho capito che potevo spingermi oltre quando le prime idee di Muses mi ronzavano in testa. Potevo fare il salto. Ma ho impiegato tre anni per riuscirci e sentirmi veramente pronto. Dovevo limare ancora lo stile e riuscire a creare personaggi più reali e convincenti.

Curiosità, aneddoti e leggende metropolitane legate al tuo libro e la sua stesura?

Durante le presentazioni di Muses, in molti mi hanno chiesto quanto c’è di autobiografico in questo romanzo, quale dei personaggi mi rispecchia di più. Difficile stabilirlo, perché ognuno di loro ha una mia caratteristica. Alice, con questo chiaroscuro di arroganza e fragilità, Lourdes Blanco, per la sua passione innata per la tecnologia. Spesso, però, sono scene reali a cui ho assistito come, ad esempio, il momento in cui Alice si siede nell’autobus e una signora, vicina di posto, si allontana perché ripugnata dal suo aspetto. Alice, in realtà, ha solamente tatuaggi e piercing, e si veste magari un po’ troppo dark. A una prima lettura potrebbe sembrare il tipico cliché antirazzista, eppure è una scena che ho visto con i miei occhi.

Dopo diversi romanzi usciti per Asengard, Piemme e Castelvecchi sei ora approdato alla nuova collana Mondadori Chrysalide con Muses,  young adult autoconclusivo che ripropone in chiave moderna il mito delle nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, considerate la rappresentazione suprema dell’Arte. Quindi fantasy non soltanto per i teenagers…

Muses non è un fantasy, ma un romanzo gotico. Le sfumature surreali ci sono, ovviamente, ma il vero perno del romanzo è la protagonista Alice, una ragazza della periferia di Roma, cresciuta con un padre alcolizzato e violento, e una madre incapace di proteggerla. È il suo viaggio di rinascita, dopo aver toccato il fondo, l’accettazione di se stessa, della sua natura, dei sentimenti che ha sempre negato. Queste sono le fondamenta del romanzo, alle quali si è poi aggiunta la reinvenzione delle muse nell’età moderna. Mi sono semplicemente chiesto: se oggi vivessero tra di noi le muse, come ispirerebbero gli uomini? Come sarebbero cambiate? Così è nata per esempio Lourdes Blanco, la Musa della Net.Art, ossia di Facebook, Twitter e della tecnologia in generale.

Quanto sei soddisfatto di questo risultato? E il complimento più bello che hai ricevuto dai lettori?

Molto, non mi aspettavo che il pubblico rispondesse con tale entusiasmo e che la storia piacesse molto. Leggo recensioni sui blog e su Anobii, un social network dedicato ai libri, e mi accorgo di un responso superiore alle mie aspettative. Il momento più bello è stato quando, dopo una presentazione, mi sé è avvicinata una signora di mezza età per chiedermi un autografo. Ero molto contento, perché di solito il mio pubblico è più giovane. Lei mi ha chiesto se poteva dettarmi la dedica: “A … che ti ringrazia per aver scritto la sua storia”. Mi sono congelato, perché la storia di Alice non è una passeggiata. L’ennesima conferma che anche un romanzo ritenuto fantasy può parlare di noi e del nostro mondo.

Tre motivi per leggere i tuoi romanzi…

Un romanzo graffiante. Un romanzo provocatorio. Un romanzo di crescita e di riscoperta di noi stessi.

In una tua recente intervista dici che Muses è una frattura rispetto al passato. Cosa significa?

Ho cercato di superare i miei limiti, tabù e paure. È stata una sfida, perché volevo scrivere un libro che fosse sporco e che, dietro alla sua ruvidezza, nascondesse dei particolari inaspettati. Alice, per esempio, così ribelle, sociopatica e arrogante, che pagina dopo pagina mostra le sue debolezze e qualità. Rendere questo personaggio vero e reale, con dei flashback piuttosto crudi del passato, non era un passo facile da affrontare.

Come narratore, provi mai il desiderio di scrivere per liberarti dei personaggi?

Sempre. Quando sono nate Alice e Muses, ho lasciato riposare l’idea. Ma la voce della Musa è diventata sempre più insistente. Non potevo far altro che raccontarvi la loro storia.

Tu hai un lavoro impegnativo, sei ingegnere. Come riesci a conciliare la tua vita professionale con la tua attività letteraria?

Semplice, non si possono conciliare. Tempi e spazi totalmente diversi. Scrivo a casa, la sera e nei week end, spesso fino all’una o le due di notte. Dipende dall’ispirazione e da quanto sono stanco. Ultimamente mi capita di scrivere in treno, visti i miei viaggi per presentare il romanzo.

Da adolescente leggevi? E, se sì, cosa?

Ho sempre adorato leggere. Da piccolo romanzi fantastici, come i libri Michele Ende, per poi avvicinarmi ai classici durante il periodo scolastico. Oggi sono un lettore onnivoro, non ho preferenze di genere. Wright, Winterson, Stroud, Gaiman, Nicholls, McCarthy solo per citare alcuni dei miei autori preferiti.

Il libro e l’autore della tua vita?

Domanda tosta. Non credo che ci sia un unico libro della mia vita. Ogni romanzo rappresenta un tassello, riflette lo stato d’animo nel periodo in cui l’ho letto. Ho trovato “Un giorno” di Nicholls coinvolgente, “La Strada” di McCarthy un capolavoro.

E il libro che hai sul comodino?

Le Correzioni di Franzen.

Un sogno…

Che si avverino i miei sogni.

Quali sono gli ingredienti per essere felici?

L’insoddisfazione segue l’ambizione come un’ombra, diceva Haskins. Oppure: le piccole cose uccideranno le grandi, diceva Frollo nel Gobbo di Notre Dame. Per essere felici occorre sapersi guardare attorno. Poi, chiudere gli occhi e guardarsi dentro.

Cos’è per te l’amore? Sei innamorato?

“La perdita è la misura dell’amore” diceva la Winterson. Credo abbia ragione, l’amore non si può valutare solo nel lungo termine, quando è trascorso il temporale della prima infatuazione, e si rischia di perderlo. Perché significa cancellare ogni egoismo, rinnovare ogni giorno i propri sentimenti, riscoprirequell’incastro perfetto che nella vita si trova solo rare volte. L’amour physique est sans issue.

Sì, sono innamorato. Anzi, innamoratissimo.

Come spieghi l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?

Tutta la nostra vita non è che un alternarsi di momenti di gioia e di dolore. La nostra natura ci spinge a sottovalutare la prima e a lamentarci della seconda. Così come è facile scurire una tavolozza di colore bianco, basta una spennellata di nero. Viviamo nel grigio, ma è proprio la sofferenza che ci permette di apprezzare le cose che veramente contano attorno a noi. Catarsi, redenzione. La sofferenza è la condizione necessaria per aprire la porta della felicità.

Cos’è per te la morte?

Per molti la morte è sinonimo di paura. Perché spesso, legata all’egoismo, significa scindere per sempre un legame. La morte è legata al concetto di sofferenza e di dolore. Si ha paura della vecchiaia, della trasformazione del proprio corpo. Della solitudine. E allora mi vengono in mente le parole di Pirandello: “Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la trascina, perché ogni forma è una morte.”

Questa che enuncia Pirandello è la vera morte, non quella fisica.

Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?

Non credo che occorra conoscerli. Viverli e provarli è la cosa più importante. Sono concetti che esprimo sempre nei miei libri. La vita, la morte, il nero e il bianco. Il bene e il male. Non sono concetti scissi tra loro, ma assolutamente indissolubili, legati l’uno all’altro. Non credo al bianco e al nero. Credo alle migliaia di sfumature di grigio, alle scelte che affrontiamo ogni giorno, al libero arbitrio. Non esiste il destino, siamo tutti eroi schilleriani in questo mondo. Credo alla libertà del nostro arbitrio, alla sincronicità di Jung, alla possibilità di cambiare il nostro futuro, di trasformare un rimpianto in un rimorso, ma non il viceversa.

L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato dall’ignoto, ecco nascere allora prima le religioni, le filosofie, la ragione. A te cosa è venuto in aiuto?

È il fondamento di ogni religione. La morte, l’ignoto, l’oscurità. È ciò che ci spaventa di più, e la fede giunge in nostro soccorso. La mia fede è nelle persone che mi stanno accanto. Nell’amicizia, nell’amore, nell’ammettere che non siamo d’acciaio e che abbiamo un assoluto bisogno dell’aiuto degli altri.

Qual è per te il senso della vita?

Ammettere che forse non dobbiamo cercarlo questo “senso”. Viverla, ogni giorno. Sbagliare il più possibile. Mettersi sempre in discussione, non avere paura di incrinare le nostre cupole di cristallo, dentro alle quali ci proteggiamo. Vivere una vita in ogni sua forma, senza vergognarci delle proprie qualità e difetti, senza rimanere schiacciati da delle imposizioni etiche, religiose, politiche. Capire noi stessi, gridarlo agli altri senza paura.

Progetti futuri?

Ho un altro romanzo nel cassetto, di genere non più fantasy. Lo sto rivedendo, cercando di capire le sue potenzialità e come migliorarlo. Per adesso rimane un progetto top-secret.

Un consiglio a chi vuole seguire le tue orme

Scrivere per passione, e non con l’ambizione di diventare famoso e ricco. Abnegazione, capacità di mettersi in discussione. Tanta forza d’animo e pazienza. Ma, soprattutto, leggere. Perché la lettura è la palestra per uno scrittore.

Grazie Francesco, è stata davvero una bellissima chiacchierata…

Articoli utili: Recensione “Muses. La decima Musa”

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3 Comments

  1. Lina 20 June 2013
    Rispondi

    Le tue interviste sono sempre interessanti e stimolanti, non sorprende anche il successo che il maremmano Falconi sta riscuotendo a livello nazionale perché la sua opera contiene degli elementi di notevole originalità .

    • Dianora Tinti 21 June 2013
      Rispondi

      Brava Lina, concordo appieno con la tua disamina, tra l’altro i suoi libri sono in grado di conquistare anche chi non mastica “pane e fantasy” tutti i giorni. Grazie per il complimento inoltre!

  2. Marco 11 July 2013
    Rispondi

    Francesco è una “grande” persona, dalla enigmatica personalità. Ottimo percorso nelle strade del fantasy, che lo porteranno sicuramente verso quell’Oltre che ci farà sognare, tra le pagine della sua storia ed in quelle che racconta. Al di là di tutto, è anche un buon Amico, di quelli ventennali, di quelli che ti entrano dentro. Ciao Checco. MDG

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